Il Sindaco e l’ombra del padre: la politica tra mito, caduta e resurrezione
Editoriale di Luigi Palamara
C’è una stagione in cui tutto torna a pulsare. È la primavera delle urne, quando una città come Reggio Calabria torna a interrogarsi su sé stessa. E lo fa come solo le città del Sud sanno fare: con memoria lunga, passioni incandescenti e un’inquietudine che somiglia alla nostalgia.
Nel 2026, Reggio voterà di nuovo. Ma non sarà una scelta qualsiasi. Sarà una scelta sul destino, sulla continuità o sull’abbandono di una stagione lunga dieci anni: quella di Giuseppe Falcomatà. Figlio di Italo, erede e insieme ribelle. Una figura che ha dovuto danzare sulla lama del paragone con un padre trasfigurato nel mito.
Italo fu la “Primavera Reggina”, la speranza che si fa carne. Giuseppe, invece, è stato la resistenza. Ha retto agli urti della storia, al predissesto, alla sospensione. A ciò che avrebbe spezzato chiunque, lui ha risposto con ostinazione. Non si è mai tirato indietro. Non ha mai fatto spallucce.
Eppure, ancora oggi c’è chi usa il nome del padre come clava contro il figlio. Ma si sbaglia. Perché Giuseppe ha costruito la sua identità con una tenacia che ha del doloroso, rifiutando le scorciatoie del sangue. Se ha superato il padre, non lo ha fatto in gloria, ma in sudore. E Italo, da lassù, se davvero ha occhi per vedere, non può che essere fiero.
Ora il destino gli pone davanti un bivio. Non può candidarsi ancora, dice la legge. Ma quella stessa legge potrebbe cambiare, potrebbe aprirsi una porta sul terzo mandato. Oppure, al contrario, potrebbe aprirsi il varco per una corsa alla Presidenza della Regione. Lì, dove adesso scricchiola la figura di Roberto Occhiuto, investito da un avviso di garanzia che potrebbe mutare il panorama calabrese. O forse no. La politica è fatta anche di silenzi e attese, di carte che restano coperte fino all’ultimo istante.
In questo campo minato, il centrodestra sogna di banchettare. Ma fare “man bassa” non è verbo che si coniuga facilmente nella politica meridionale. Dove ogni consenso ha radici antiche, riti impliciti, fedeltà che sfidano la logica. Chi crede che basti una bandiera o una sigla per vincere, ha capito poco del Sud e ancor meno di Reggio.
Perché qui, ogni voto è anche un giudizio morale. È un racconto collettivo che cerca coerenza. E chi ha governato senza tradire se stesso, anche tra mille contraddizioni, può ancora parlare al cuore di questa città.
Mentre ci avviciniamo al bivio del 2026, Reggio rimane sospesa tra ciò che è stata e ciò che potrebbe diventare. Tra le macerie e le speranze, tra la tentazione della rottura e il richiamo della continuità.
E sarà ancora una volta il popolo a decidere se affidare a Giuseppe Falcomatà un nuovo capitolo o a qualcun altro il compito, assai più arduo, di scrivere senza ricopiare.
Luigi Palamara
Reggio Calabria 15 giugno 2025
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