Bagaladi resiste. E ci ricorda chi siamo
di Luigi Palamara
Di paesi che muoiono in silenzio ne è piena l’Italia. Li attraversiamo senza accorgerci. Li dimentichiamo con la stessa leggerezza con cui scrolliamo lo schermo. Li lasciamo sbriciolarsi nel tempo, mentre l’Aspromonte – che non dimentica nulla – li inghiotte uno a uno, avvolgendoli nel suo abbraccio: antico, ostile, eppure dolcissimo. San Lorenzo, Roccaforte del Greco… nomi che sembrano usciti da una mappa medievale e che oggi galleggiano nel vuoto. Paesi fantasmi. Pietre senza voce.
E poi c’è Bagaladi.
Bagaladi no. Ha deciso che il silenzio non è un’opzione. Ha scelto la resistenza. Non quella armata, ma quella ostinata. Quella fatta di mani che si sporcano. Di voci che si intrecciano. Di giovani che restano e di anziani che non mollano. Di Gonfaloni sventolanti e piazze che si riempiono, mentre il mondo altrove implode nella solitudine dei like e dei “mi faccio sentire domani”.
Alla 30ª edizione della Festa del Gonfalone, questo piccolo borgo dell’Aspromonte ha acceso la sua fiaccola. E non l’ha fatto con la retorica dei convegni o i contributi ministeriali. Lo ha fatto con Gianfranco, Nino, Giuseppe Franco, Adalgisa, nomi semplici di gente vera. E con un primo cittadino, Santo Monorchio, che non aspetta i fondi europei ma si sporca le mani, come ogni buon sindaco dovrebbe fare.
È bastata una mostra di dipinti – quelli del Maestro Luigi Palamara, ispirati proprio a quell’Aspromonte spigoloso come un vecchio nonno severo – a dimostrare che l’arte può ancora avere senso. Non quella che fa curriculum nelle gallerie metropolitane, ma quella che nasce dalla terra, dal respiro, dalla memoria. Un’arte che non guarda mai, ma vede. E fa vedere.
In questo quadro corale, ogni dettaglio è vita:
Le fontane che cantano tra i vicoli, l’acqua fredda che sa di pietra e di cielo.
Le piazzette ombreggiate, le sedie tirate fuori dai portoni.
I ragazzi che lavorano al palco, i volontari che non aspettano nulla in cambio.
I suoni di Calabria, quelli veri, con Cosimo Papandrea e Peppe Sapone, che non si limitano a intrattenere: raccontano.
E tu ci sei dentro. Non da ospite. Da fratello.
Bagaladi non è folklore. Non è il presepe da cartolina. È una scelta, radicale e coraggiosa, fatta da chi ha capito che la vita non si misura con l’altitudine delle ambizioni, ma con la profondità delle radici. È la prova che esiste ancora una parte d’Italia che non ha paura di essere ciò che è: onesta, concreta, imperfetta e fiera.
In un’epoca che ci vuole tutti altrove – a inseguire carriere, profili, apparenze – Bagaladi ti guarda negli occhi e ti dice:
> “Io resto. Qui si vive. Qui si lavora. Qui si fa famiglia.”
E non lo fa per nostalgia. Lo fa per necessità. Lo fa per amore.
E allora sì: venite a Bagaladi. Non per turismo. Per respirare qualcosa che altrove è già perduto.
Perché in questa terra di Calabria, se c’è ancora un senso, una bellezza, una verità da difendere, la troverete lì.
Tra le pietre calde del Corso.
Tra le mani callose di chi allestisce un palco sotto il sole.
E negli occhi lucidi di chi non ha mai lasciato.
Bagaladi c’è. E vi aspetta. A braccia aperte.
Luigi Palamara Tutti I diritti riservati
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