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Il prezzo di una assoluzione. E il talento perduto di Nino De Gaetano.

Il prezzo di una assoluzione. E il talento perduto di Nino De Gaetano.
Editoriale di Luigi Palamara


"Il fatto non sussiste."
È una formula asciutta, chirurgica. Quattro parole – quattro – che pronunciate in un’aula di giustizia sanciscono la fine di un incubo. Ma non restituiscono la vita. Non restituiscono gli anni rubati. E soprattutto, non restituiscono a una comunità il futuro che le è stato negato.

Nino De Gaetano è tornato. Assolto. Dopo oltre dieci anni di calvario giudiziario. Dieci anni nei quali, da Reggio Calabria in giù, chi doveva governare il presente è stato costretto a rinunciare a chi poteva rappresentare il futuro.

E sì, usiamo senza remore questa parola oggi tanto abusata e svilita: futuro. Perché De Gaetano, giovane politico di razza, reggino di indubbio talento e spessore, era – e forse è ancora – una di quelle promesse autentiche che raramente crescono nelle terre dove lo Stato si vede solo quando sbaglia. Eppure, per oltre un decennio, l’unica realtà a cui ha potuto aggrapparsi è stata la sua fede granitica nella giustizia e nella democrazia, come lui stesso ha dichiarato. Ha scelto di difendersi nel processo, e non dal processo. Una distinzione che oggi suona quasi eroica.

E intanto, che cosa ha perso la Calabria? Un assessore regionale capace. Un dirigente politico che si era dimesso all’istante, come si addice a chi ha un’etica pubblica. Un uomo che ha rinunciato alle competizioni elettorali pur di non turbare le acque già torbide della credibilità istituzionale. In una terra in cui si elemosinano classe dirigente e visione, De Gaetano rappresentava, allora, l’eccezione: giovane, competente, e animato da quella passione civile che oggi sembra fuori moda.

Il risultato? Una giunta regionale azzerata, un’intera stagione di governo abortita in nome della presunzione, e l’avvento dei tecnici, dei commissari, dei “non eletti” – quella razza grigia che sopravvive proprio nei vuoti lasciati dai politici che non si è stati capaci di difendere o aspettare.

Ora la giustizia, lenta e afona, ha parlato. Assoluzione con formula piena. Ma intanto la pena l’ha già scontata tutta, fino all’ultimo giorno. Senza colpa. Senza reato.

Ma davvero possiamo continuare a raccontarci che in democrazia basta essere assolti per rientrare nel consesso civile? Davvero possiamo credere che la verità giudiziaria, quando arriva dopo un decennio, sia sufficiente a ricucire un'esistenza pubblica, a risarcire una reputazione? La verità non fa rumore quanto il sospetto. E i sospetti, si sa, sono virali, mentre le sentenze definitive passano in sordina.

La vicenda De Gaetano non è solo una storia individuale. È un monito feroce. È l’esempio lampante di ciò che accade quando la macchina giudiziaria, pur nella sua legittimità, incrocia e spezza destini umani e politici con lentezza inaccettabile. E se la giustizia arriva tardi, non è più giustizia: è un referto d'autopsia.

Ora, più che chiedere se De Gaetano tornerà – se avrà ancora la forza e il coraggio di rimettersi in gioco – la vera domanda riguarda noi. Noi cittadini, noi elettori, noi testimoni distratti. Abbiamo imparato qualcosa? O continueremo a lasciare che le migliori energie di questo Sud vengano sacrificate sull'altare del sospetto preventivo, dell’inerzia politica, dell’indifferenza morale?

Il tempo non restituisce ciò che ha divorato. Ma può, se vogliamo, insegnarci a non perderlo ancora.

Luigi Palamara

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