Mario Oliverio mette la sinistra calabrese davanti allo specchio
L'Editoriale di Luigi Palamara
Reggio Calabria, ottobre 2025. Una luce malinconica si alza nelle sere d’autunno di Reggio Calabria.
È una luce che scivola dal mare e si ferma sulle facce, scavando le rughe, i ricordi, le delusioni. Dentro una sala gremita, l’ex presidente della Regione Calabria Mario Oliverio parla come chi non deve più convincere nessuno, ma solo raccontare la verità di ciò che è rimasto.
Non c’è enfasi, non c’è voce impostata. C’è un tono basso, quasi dimesso, ma pieno di sostanza.
«Non possiamo stendere un velo pietoso sulle nostre sconfitte», dice.
E quel “nostre” è la parola chiave: non scarica colpe, le assume.
Il rito laico della sconfitta
L’incontro — organizzato da Carmen Latella, giovane militante che parla di “ricostruire” come si parla di un dovere, non di un sogno — ha l’atmosfera di un rito laico.
Non è un comizio, non è un congresso. È qualcosa di più intimo e più drammatico: una comunità politica che si guarda allo specchio e non si riconosce.
“Ricostruire”, spiega Latella, viene dal latino cum-struere: costruire insieme. “Ecco, dobbiamo ricominciare da lì”.
Un’etimologia che diventa manifesto.
Il pubblico annuisce. Non è il pubblico dei tempi d’oro, ma è ancora vivo. Facce segnate, occhi che brillano un momento e poi si abbassano.
Gente che ha creduto nella sinistra come in una religione civile, e ora la vede smarrita, trasformata in un’ombra che vaga tra sigle e post su Facebook.
Oliverio: la resa dei conti con la realtà
Poi parla Oliverio.
E inizia come un vecchio cronista: con i numeri, i dati, i fatti.
«Nel 2014 il centrosinistra calabrese aveva 490 mila voti. Nel 2020, con Callipo, scesi a 330 mila. Nel 2021 con Bruni, ancora meno: 316 mila. Oggi, con Tridico, 330.813. La destra? 453 mila, il 57,6%. A Reggio 65 contro 33».
Non serve altro. Le cifre parlano da sole.
Ma Oliverio non si rifugia nei lamenti. Punta dritto al cuore della questione:
«Non è solo una sconfitta elettorale. È una crisi morale, culturale, identitaria».
Il "vecchio" presidente — 72 anni, lo ricorda lui stesso con un filo d’ironia — non cerca rivincite personali. “Non chiedo nulla per me”, dice. “Ma non posso assistere in silenzio al declino di questa terra”.
Il peccato originale: l’assenza
C’è un momento, a metà discorso, in cui la sala si fa silenziosa. Oliverio dice:
«Non c’è stata una vera opposizione. Né politica, né sociale. Non una voce capace di smascherare le favole del presidente Occhiuto. La sanità è al collasso, il PNRR non ha lasciato traccia, eppure nessuno si è mosso».
È la diagnosi più precisa e impietosa che si sia sentita negli ultimi anni: la sinistra non è stata battuta, si è estinta da sola.
E intanto, fuori, la Calabria continua a svuotarsi.
Le città si fanno più spente, i borghi più muti.
Chi può se ne va, chi resta sopravvive.
Lo spopolamento non è più un dato demografico: è una condanna culturale, una perdita di speranza.
La destra che si traveste da modernità
Oliverio non risparmia nemmeno il vincitore, Roberto Occhiuto:
«È una destra che si finge nuova, ma è vecchia dentro. Una destra social nei modi, ma vuota nei contenuti».
E aggiunge, con una punta di veleno calabrese:
«La sua narrazione è stata formidabile. La nostra contronarrazione, inesistente».
Una frase che vale un editoriale intero.
In politica, la parola è tutto: chi racconta vince, chi tace scompare.
E la sinistra calabrese ha smesso di raccontare. Ha lasciato il palcoscenico, convinta che i fatti bastassero. Ma in un’epoca dove la percezione è realtà, l’assenza è il peggiore dei peccati.
L’ultimo popolo politico
Carmen Latella lo dice apertamente nel suo intervento:
“La mia generazione non ha avuto una scuola politica. Non abbiamo imparato nelle sezioni, ma leggendo e ascoltando. Non siamo abituati a leggere i giornali la mattina. Eppure, senza chi sa più di noi, non possiamo ricostruire”.
È una confessione sincera e disarmante, che dovrebbe far riflettere i dirigenti nazionali del Partito Democratico più di mille analisi elettorali.
Perché qui non si parla solo di strategie, ma di educazione civica.
Una volta, la sinistra era una scuola.
Oggi è un insieme di monologhi interrotti.
Io: un' ombra nella sala
Ascoltando Oliverio, mi è venuto in mente “Quando una classe politica smette di credere nella propria missione, è già morta. Il voto è solo la lapide”.
“Morire non è una colpa. È restare zitti, questo sì che lo è”.
Ecco, Oliverio non è rimasto zitto.
Ha parlato con la lucidità dei sconfitti che non si rassegnano, di chi sa che la politica non è marketing ma coscienza collettiva.
Forse non cambierà nulla domani, ma ogni parola che ha detto è servita a ricordare che la verità, anche quando brucia, è l’unico vaccino contro la rassegnazione.
La parola che resta: ricostruire
Alla fine, rimane quella parola: ricostruire.
Un verbo semplice, antico, ma carico di dignità.
Ricostruire significa riconoscere le macerie, rimboccarsi le maniche e tornare a credere che un’altra Calabria sia possibile.
Non per illusione, ma per necessità morale.
Quando la sala si svuota, resta un silenzio particolare: non di sconfitta, ma di consapevolezza.
Per la prima volta, dopo anni, qualcuno ha detto la verità senza paura di perderci.
E in fondo “la verità, in politica, è come l’acqua nel deserto: quando appare, anche i cammelli si fermano a bere”.
Forse la sinistra calabrese non ha ancora trovato il suo nuovo cammino.
Ma stanotte, a Reggio, ha ritrovato la voce.
Luigi Palamara
Tutti i diritti riservati
Reggio Calabria 23 ottobre 2025
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