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Il silenzio degli amici degli "amici"

Il silenzio degli amici degli "amici"

Editoriale di Luigi Palamara


Vuoi vedere che, leggendo certi commenti, alla fine la colpa è mia? Mia, sì. Per aver parlato. Per non aver chinato il capo dinanzi al mormorio del branco, che chiama “amicizia” ciò che altro non è che complicità. Mia, per aver messo nome e cognome dove altri infilano allusioni e pettegolezzi, quel fango sottile che si insinua nei corridoi digitali con la viltà propria degli anonimi e dei falsi.

Mia, la colpa, perché non ho taciuto. Perché non ho accettato le mezze frasi, gli avvertimenti non richiesti, i consigli che puzzano di intimidazione. “Non dovevi...” – dicono. “Gli amici non fanno così...” – insistono. Ma così come, di grazia? Cosa ci si aspetta da un amico: che stia zitto? Che si volti dall’altra parte quando vede un’ingiustizia? Che lasci correre le menzogne perché “non sta bene” opporsi?

No, signori miei. Questo non è essere amici. Questo è essere complici. Questo è il codice dell’omertà travestito da bon ton sentimentale.

La verità – e Dio sa quanto oggi la verità sia merce scomoda – si difende con la voce alta, con la schiena dritta, e con quella parola che ormai sembra bestemmia: responsabilità. Sì, responsabilità. Di dire le cose come stanno, anche quando fa male. Anzi: soprattutto quando fa male.

Le fake news, le menzogne, le insinuazioni, non si combattono con il silenzio. Si combattono con la luce. E la luce, per essere tale, ha bisogno di volti, non di maschere. Di nomi, non di codici IP. Di uomini e donne capaci di assumersi il peso delle proprie parole, non di anime pavide che si nascondono dietro il “non volevo ferire”.

L’amicizia vera, quella che oggi sembra così desueta da sembrare rivoluzionaria, non si misura nella capacità di coprire l’altro, ma nel coraggio di guardarlo negli occhi e dirgli: io ci sono, ma non starò zitto mentre mentono su di te. O mentre sei tu a mentire.

Chi tace davanti alla menzogna, chi consiglia di lasciar perdere, non è un amico. È un gregario del disonore.

E allora sì, se la colpa è quella di non essermi voltato dall’altra parte, la rivendico. In faccia, a voce alta, con nome e cognome.

Mia è la colpa. Ma vostro il silenzio. E non ci somigliamo affatto.

Luigi Palamara

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