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Il silenzio degli ipocriti che arriva tardi"Excusatio non petita, accusatio manifesta"

Il silenzio degli ipocriti che arriva tardi
"Excusatio non petita, accusatio manifesta"

Editoriale di Luigi Palamara


C’è un momento in cui il giornalismo dovrebbe saper tacere. Non per paura, non per convenienza, ma per decenza. È quel momento sottile e preciso in cui l’informazione smette di servire il diritto di sapere e comincia a violare il diritto di esistere in pace di chi, suo malgrado, è finito al centro della cronaca.

Troppo spesso, però, quel momento passa inosservato. Troppo spesso si oltrepassa il limite senza nemmeno accorgersene, o peggio, fingendo di non vederlo.

Si alzano allora voci a invocare la deontologia, a parlare di rispetto, a chiedere di spegnere i riflettori. Ma quelle voci, fino a pochi istanti prima, hanno cavalcato l’onda del clamore. Hanno rincorso il caso umano, scavando nelle vite altrui con la presunzione di fare servizio pubblico. Hanno trasformato l’angoscia di una famiglia in una serie a puntate, il dolore in spettacolo, la paura in contenuto.

Non sono stati solo i social, che pur hanno le loro colpe. Non sono stati solo gli utenti, spesso rapidi a giudicare e lenti a riflettere. Sono stati anche i professionisti dell’informazione. Quelli che dovrebbero riconoscere il confine tra il diritto di cronaca e l’abuso. Quelli che parlano di codici etici mentre mostrano immagini che mai avrebbero dovuto circolare, o pubblicano dettagli che nessuno aveva il diritto di conoscere.

Questo non è giornalismo. È intrattenimento travestito da informazione. È la legge dello share che piega tutto: la privacy, la dignità, persino l’età di una persona coinvolta.

Poi, quando il clamore si fa scomodo, arriva la retromarcia. Arrivano le parole sulla prudenza, il rispetto, l’invito a non giudicare. Ma è troppo facile dire “ora basta” quando il danno è stato fatto. Quando la dignità è stata esposta, commentata, masticata. Quando la vita di qualcuno è stata sbattuta in prima pagina come se fosse un romanzo da consumare in fretta.

È facile parlare di riserbo dopo averlo violato. È comodo invocare il silenzio solo quando fa comodo.

E allora, se davvero si vuole fare un passo indietro, che sia un passo onesto. Non un gesto di facciata, ma una riflessione autentica. Non una condanna agli altri – ai social, agli utenti, alla “rete” – ma un esame di coscienza su come si è gestita l’informazione.

Perché il mestiere di giornalista non è dire tutto. È sapere quando è giusto non dire nulla.

Luigi Palamara

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