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Sunsetland, il tramonto che chiede rispetto

Sunsetland, il tramonto che chiede rispetto

Editoriale di Luigi Palamara un aspromontano che ha imparato a non stupirsi più, ma a sperare ancora


Esiste un luogo a Reggio Calabria dove ogni sera il sole si ritira con la dignità di un re antico, senza squilli di tromba, ma con la maestosità di chi sa che l’eternità gli appartiene. È l’Arena dello Stretto, il nostro piccolo teatro di pietra affacciato sul Mito. Di fronte, la Sicilia. In mezzo, lo Stretto. In alto, la luce che sfuma. Ed è lì che oggi qualcuno ha avuto il coraggio — e il merito — di provare a scrivere una nuova narrazione: Sunsetland.

Un nome che sembra rubato a un romanzo di viaggio o a una poesia di frontiera. E che invece è reale, concreto, ancorato a un palco, a una consolle, a qualche dj più o meno noto, a una manciata di spettatori, a un’idea. Un’idea, sì. Perché tutto nasce da lì: da un’idea semplice e nobile, che è quella di rendere protagonista il tramonto, non come chiusura del giorno, ma come inizio di una visione.

Chi la nostra terra l’ha sofferta e raccontata, coglie in tutto questo il senso profondo di un popolo che fatica a riconoscersi ma ha bisogno di bellezza per ricordarsi chi è. Chi da par suo, forse storce il naso per l'uso leggero dell’inglesismo, ma apprezza lo sforzo di chiamare le cose con un nome nuovo. Attenzione a non confondere lo spettacolo della natura con l’iniziativa dell’uomo. Perché il tramonto, quello sì, non ha bisogno di essere promosso. È l’uomo che deve esserne degno.

Ed è proprio qui il punto.

Il tramonto sul lungomare Falcomatà — il più bello d’Italia, lasciatecelo dire senza pudore — non ha bisogno di palchi, ma di rispetto. Non cerca applausi, ma silenzi. È la città che deve imparare a guardarlo, ogni giorno, con occhi nuovi. Perché lì c’è il nostro volto migliore, la nostra vocazione naturale: essere ponte tra cielo e mare, tra Sud e mondo, tra storia e futuro.

E Sunsetland, in fondo, può essere questo. Un esercizio collettivo di educazione alla bellezza. Ma, come ogni processo educativo, richiede costanza, tempo e risorse. Non bastano una console, due flyer e un post su Instagram. Serve crederci. Con la stessa testardaggine con cui si coltiva una vigna in un terreno ostile.

Oggi la città guarda con timidezza. La partecipazione è ancora sporadica, incerta. Ma non è il numero che fa la qualità. È la continuità che costruisce l’identità. E un’identità, Reggio Calabria, deve ricostruirsela. Dopo anni di parole vuote, promesse non mantenute, sceneggiate politiche e silenzi assordanti.

Sunsetland non è la panacea, ma è un segnale. È il simbolo di ciò che potremmo essere se solo imparassimo ad ascoltare il ritmo naturale della nostra terra. Se ci accorgessimo che il tramonto non è un lusso per turisti, ma un diritto per chi resta. Per chi vuole vivere Reggio, non solo sopravvivere.

Non chiamatelo semplicemente "evento". Non chiamatelo solo "intrattenimento". È un rito. Una liturgia laica che ci riguarda tutti. Un’occasione per capire, ogni sera, che siamo fortunati ad abitare un lembo di mondo dove il sole saluta così.

E poi, diciamolo: i tramonti piacciono agli innamorati. Ma anche ai sognatori, ai bambini, ai vecchi, a chi ha il coraggio di fermarsi cinque minuti a guardare. A chi ha ancora voglia di credere che Reggio Calabria non sia soltanto la cronaca che ci umilia, ma una poesia ancora da scrivere.

La strada è tracciata. Tocca a noi percorrerla. Fino in fondo. O, per usare le parole del luogo: almeno fino al tramonto.

Luigi Palamara Tutti i diritti riservati

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@luigi.palamara Sunsetland, il tramonto che chiede rispetto Editoriale di Luigi Palamara un aspromontano che ha imparato a non stupirsi più, ma a sperare ancora Esiste un luogo a Reggio Calabria dove ogni sera il sole si ritira con la dignità di un re antico, senza squilli di tromba, ma con la maestosità di chi sa che l’eternità gli appartiene. È l’Arena dello Stretto, il nostro piccolo teatro di pietra affacciato sul Mito. Di fronte, la Sicilia. In mezzo, lo Stretto. In alto, la luce che sfuma. Ed è lì che oggi qualcuno ha avuto il coraggio — e il merito — di provare a scrivere una nuova narrazione: Sunsetland. Un nome che sembra rubato a un romanzo di viaggio o a una poesia di frontiera. E che invece è reale, concreto, ancorato a un palco, a una consolle, a qualche dj più o meno noto, a una manciata di spettatori, a un’idea. Un’idea, sì. Perché tutto nasce da lì: da un’idea semplice e nobile, che è quella di rendere protagonista il tramonto, non come chiusura del giorno, ma come inizio di una visione. Chi la nostra terra l’ha sofferta e raccontata, coglie in tutto questo il senso profondo di un popolo che fatica a riconoscersi ma ha bisogno di bellezza per ricordarsi chi è. Chi da par suo, forse storce il naso per l'uso leggero dell’inglesismo, ma apprezza lo sforzo di chiamare le cose con un nome nuovo. Attenzione a non confondere lo spettacolo della natura con l’iniziativa dell’uomo. Perché il tramonto, quello sì, non ha bisogno di essere promosso. È l’uomo che deve esserne degno. Ed è proprio qui il punto. Il tramonto sul lungomare Falcomatà — il più bello d’Italia, lasciatecelo dire senza pudore — non ha bisogno di palchi, ma di rispetto. Non cerca applausi, ma silenzi. È la città che deve imparare a guardarlo, ogni giorno, con occhi nuovi. Perché lì c’è il nostro volto migliore, la nostra vocazione naturale: essere ponte tra cielo e mare, tra Sud e mondo, tra storia e futuro. E Sunsetland, in fondo, può essere questo. Un esercizio collettivo di educazione alla bellezza. Ma, come ogni processo educativo, richiede costanza, tempo e risorse. Non bastano una console, due flyer e un post su Instagram. Serve crederci. Con la stessa testardaggine con cui si coltiva una vigna in un terreno ostile. Oggi la città guarda con timidezza. La partecipazione è ancora sporadica, incerta. Ma non è il numero che fa la qualità. È la continuità che costruisce l’identità. E un’identità, Reggio Calabria, deve ricostruirsela. Dopo anni di parole vuote, promesse non mantenute, sceneggiate politiche e silenzi assordanti. Sunsetland non è la panacea, ma è un segnale. È il simbolo di ciò che potremmo essere se solo imparassimo ad ascoltare il ritmo naturale della nostra terra. Se ci accorgessimo che il tramonto non è un lusso per turisti, ma un diritto per chi resta. Per chi vuole vivere Reggio, non solo sopravvivere. Non chiamatelo semplicemente "evento". Non chiamatelo solo "intrattenimento". È un rito. Una liturgia laica che ci riguarda tutti. Un’occasione per capire, ogni sera, che siamo fortunati ad abitare un lembo di mondo dove il sole saluta così. E poi, diciamolo: i tramonti piacciono agli innamorati. Ma anche ai sognatori, ai bambini, ai vecchi, a chi ha il coraggio di fermarsi cinque minuti a guardare. A chi ha ancora voglia di credere che Reggio Calabria non sia soltanto la cronaca che ci umilia, ma una poesia ancora da scrivere. La strada è tracciata. Tocca a noi percorrerla. Fino in fondo. O, per usare le parole del luogo: almeno fino al tramonto. Luigi Palamara Tutti i diritti riservati #sunsetland #reggiocalabria #arenadellostretto #editoriale #luigipalamara #palamaraluigi #luispal #luipal #lupa ♬ оригинальный звук - Тамерлан✅️

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