Calabria al bivio: restare in ginocchio o alzarsi in piedi
L'Editoriale di Luigi Palamara
In Calabria la politica non è mai solo politica: è teatro, rito antico, scommessa di sopravvivenza. Le piazze lo sanno, i bar lo bisbigliano, i paesi lo respirano come si respira la polvere nei vicoli.
C’è Roberto Occhiuto, presidente uscente, che cammina come chi sa di avere il vento in faccia ma anche i piedi ben piantati nel cemento del potere. Le inchieste gli corrono accanto come cani randagi: abbaiano, mordono, ma non lo buttano a terra. Sorride, stringe mani, promette continuità. La Calabria lo conosce, e in politica conoscere è spesso più forte che sperare.
E poi c’è Pasquale Tridico, il professore. Arriva con l’aria di chi non ha mai fatto della piazza il suo habitat naturale. Un economista, un tecnico, ma anche un volto che la politica, stanca di se stessa, ha deciso di lanciare come carta nuova. Dodici sigle dietro di lui: PD, Cinque Stelle, socialisti, radicali, perfino renziani e calendiani. Una carovana eterogenea che per una volta sembra unita, ma che rischia ogni minuto di trasformarsi in una fiera di contraddizioni.
C'è chi dice: “Gli italiani votano più per necessità che per convinzione”. In Calabria questa frase vale doppio. Perché qui la necessità è spesso un favore, un lavoro promesso, un medico che ti fa saltare la fila. Non convinzione, ma sopravvivenza.
Altri urlano rabbiosi: “È una vergogna. Un popolo che deve scegliere tra un presidente che non cade nemmeno sotto i colpi della magistratura e un candidato che sembra aspettare che qualcuno gli presti il coraggio. Una vergogna, e basta”.
Eppure qualcosa si muove. C’è lo scenario luminoso: le inchieste scavano come acqua nella roccia, il mantello di Occhiuto si strappa, e la coalizione di Tridico smette di essere un’armata Brancaleone per diventare un blocco compatto. La gente, per una volta, si alza dal divano, va a votare, e l’affluenza supera quel maledetto 50% che da anni non si vede. In quel caso, il professore potrebbe superare il governatore: 51 a 49. Sarebbe un miracolo laico, un risveglio collettivo.
E c’è lo scenario cupo: le inchieste restano rumore di fondo, la macchina del centrodestra macina voti come sempre, l’astensione inghiotte tutto. Tridico resta ingessato nella sua coalizione variopinta, e si ferma sotto il 45%. Occhiuto vince di misura, 52 a 48, e il sipario cala senza sorprese, lasciando la Calabria esattamente dov’era.
Tra l’uno e l’altro scenario c’è il cuore dei calabresi. Un cuore abituato a piegarsi, ma che a volte, inaspettatamente, si ribella. Non saranno i numeri dei sondaggi a decidere. Sarà la rabbia o la rassegnazione. Sarà quel filo sottile di orgoglio che, se si accende, può ribaltare la storia.
Il resto — percentuali, proiezioni, strategie — è fumo da salotto televisivo. In Calabria la politica non si misura nei grafici, ma nei silenzi della gente. Se Occhiuto cadrà, sarà per la superbia del potere. Se Tridico vincerà, sarà per la rabbia di chi, per una volta, avrà trovato il coraggio di dire basta.
In fondo la Calabria non deve scegliere tra destra e sinistra, tra Occhiuto e Tridico. Deve scegliere se restare in ginocchio o alzarsi in piedi. E chi resta in ginocchio, poi, non osi lamentarsi del peso sulle spalle: se l’è messo da solo.
Luigi Palamara Tutti i diritti riservati Reggio Calabria 30 agosto 2025
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