Il mestiere del traditore
L'Editoriale di Luigi Palamara
Il traditore non cambia. Non si redime, non si converte, non si pente. Si traveste. È un camaleonte che, invece del colore, muta linguaggio, sorriso, compagnia. Ma dentro resta quello che è sempre stato: un opportunista pronto a colpire alle spalle.
Il suo sport preferito è la vendetta trasversale. Non attacca mai il bersaglio frontale: non ne ha il fegato. Preferisce passare dai vicoli, usare il coltello dell’allusione, pungere gli ex amici, i compagni di strada, quelli che un tempo lo hanno nutrito di fiducia. È lì che gode, nella macchia di fango gettata sull’unico legame che un tempo lo faceva sembrare umano.
Chi tradisce una volta tradirà ancora. È una legge semplice, brutale, quasi biologica. Illudersi del contrario è roba da anime belle: quelle che pensano di poter ammansire lo scorpione, salvo poi scoprire che punge perché è la sua natura.
E allora smettiamola di raccontarci favole: il traditore non è un errore, è una condizione. Non si cura con l’amicizia, non si neutralizza con la riconoscenza. Si riconosce e si tiene a distanza. Perché il suo abbraccio è la posa del boia che, mentre ti stringe, misura la forza della corda.
Che sia nella politica, nei salotti o nella vita privata, l’epilogo è sempre lo stesso: il traditore non tradisce mai per bisogno. Tradisce per vocazione.
Il traditore non merita odio, né rabbia. Merita soltanto memoria.
Perché la sua condanna più grande non è il giudizio degli altri, ma l’impossibilità di cambiare se stesso.
E ricordarlo, senza dargli più credito, è l’unico modo per togliergli l’unica arma che possiede: la prossima occasione di tradire.
Luigi Palamara Tutti i diritti riservati Reggio Calabria 20 agosto 2025
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