La Verità non piace, ma esiste. E resiste.
L'informazione ha una nuova prospettiva. E questo dà fastidio.
Editoriale di Luigi Palamara
Capisco – Dio solo sa quanto lo capisco – che, in tempi di mediocrità istituzionalizzata, essere colti sia diventato un atto quasi sovversivo. Non una qualità, ma un'offesa. Un affronto personale. Esercitare con rigore il proprio mestiere – nel mio caso quello di informare, raccontare, testimoniare – viene percepito come una presunzione. E invece è, banalmente, un dovere. Un dovere da compiere con umiltà, certo. Ma anche con fermezza.
Mi si perdoni, allora, se rifiuto le vostre lezioncine, i vostri sermoni travestiti da consigli. Non ne do, e non ne accetto. Perché chi sa, dubita. E chi dubita, ascolta. Ma non si inchina al pressapochismo, non si sottomette alla mediocrità, e soprattutto non baratta l’onestà intellettuale con l’applauso facile.
Non cercate il confronto se l’unico obiettivo è delegittimare. Non cercate il dialogo se non sapete distinguere un’opinione da un giudizio sommario. Non crescete, voi e la vostra città, leggendo solo ciò che vi conferma nei vostri pregiudizi. Crescete, semmai, inciampando nelle idee scomode, nelle parole storte, nei pensieri che graffiano.
Una città che non sa riconoscere il merito, che non sa valorizzare chi offre una visione altra – non migliore, non assoluta, solo altra – è una città che si condanna alla sterilità culturale. È collettivamente irrilevante.
Sono trent’anni che mi distinguo, e non per arroganza ma per coerenza. Perché non ho mai barattato la libertà di pensiero con l’opportunismo editoriale o, peggio ancora, facendo il servo: ora a destra, ora a manca. "Altrimenti non mangio", dicono. Io no.
Perché la storia può dar fastidio, certo. Ma non si cancella. E men che meno si riscrive a uso e consumo del benpensantismo locale.
Ripeto, e non da oggi: il giornalista, il vero comunicatore, non deve essere imparziale. Perché l’imparzialità è una favola ipocrita raccontata da chi non ha nulla da dire. Chi ha qualcosa da dire, prende posizione. Ma deve essere credibile. E la credibilità nasce dal rigore, dalla trasparenza, dalla fatica di studiare, di capire, di esporsi.
Poi arriva qualcuno – puntuale come le zanzare d’agosto – che ti guarda dall’alto in basso e mormora: “Ti facevo imparziale... Peccato.”
Peccato? Ma vai a quel paese. E non tornare.
Non mi interessano i lettori che leggono per giudicare. Mi interessano quelli che leggono per pensare. E se non siete tra questi, accomodatevi all’uscita. Io non vivo di like, né di approvazione. Non cerco il consenso. Non ho né la pretesa né l’illusione di cambiare qualcuno.
Mi limito a offrire un’altra narrazione. Una narrazione che ha il torto – imperdonabile, a quanto pare – di non assomigliare alla spazzatura giornalistica che ammorbava (e ammorba ancora) l’aria di questa città.
Lo capisco: per chi ha sempre vissuto immerso nei rifiuti dell’informazione, il profumo della verità dà fastidio. Fa girare la testa. Spiazza. A volte, perfino nausea.
Ma la collettività si forma anche – e soprattutto – da ciò che legge. Dai modelli culturali che elegge. Dalla stampa che alimenta. Dalla voce che sceglie di ascoltare.
Sappiatelo, una volta per tutte.
E vaffa... a chi ancora continua a rompere le scatole.
Luigi Palamara
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