Regione Calabria. Giuseppe Falcomatà: il Capitano per la tempesta
Editoriale di Luigi Palamara
Questo è il momento in cui la politica smette di essere gioco e diventa destino. Un momento in cui chi resta fermo viene spazzato via, non dalla storia – ché quella in Calabria passa ogni vent’anni – ma dalla realtà. E la realtà, oggi, ha i lineamenti duri di una regione stanca, sfibrata, ma non ancora domata.
Il centrosinistra calabrese si agita, discute, media. E nel frattempo rischia di buttare via tutto. Non per mancanza di idee, ma per assenza di coraggio. Siamo in quel crocevia in cui le ambiguità non sono più ammesse e le esitazioni diventano complicità. Se il campo progressista ha ancora un senso, se ha ancora un cuore che pulsa e una testa che ragiona, allora deve comprendere due verità semplici, quasi brutali.
La prima: non c’è più tempo. Le liturgie di corrente, le riunioni-fiume, i pizzini tra notabili: tutto questo è già scaduto. Il popolo – quello che vota, che spera, che arranca – vuole vedere una coalizione unita, determinata, in piedi. E se non la vede, si volta dall’altra parte.
La seconda: Giuseppe Falcomatà è l’unico nome capace di incarnare la svolta. Non un compromesso al ribasso, non un volto da manifesto elettorale. Ma un uomo di governo, con la schiena diritta e le mani già sporche di lavoro amministrativo.
Sindaco di Reggio Calabria e della Città Metropolitana, ha attraversato il deserto politico e giudiziario con una postura rara: quella dell’uomo delle istituzioni che non cerca scorciatoie. Due anni di sospensione e poi l’assoluzione piena. Sarebbe bastato questo per piegare chiunque. Lui no. È tornato con il passo di chi non ha tempo da perdere, né nemici da vendicare. E ha ricominciato a costruire, con metodo, rigore e una visione che – piaccia o no – oggi è l’unica credibile in campo.
Reggio Calabria lo ha visto risanare un bilancio disastrato, rilanciare una macchina amministrativa in coma, ridare fiato a una città che sembrava condannata al pianto perpetuo. E tutto questo, senza mai cadere nella trappola del protagonismo o della propaganda.
Non un politicante, ma un amministratore. Non un prestanome, ma un leader naturale, forgiato nella crisi e temprato nell’azione.
Chi oggi, nel centrosinistra, pensa di poter fare a meno di Falcomatà, o è cieco o è in malafede. E chi pensa di potergli opporre un nome “conciliante”, buono per tenere insieme i pezzetti di partito, commette un suicidio politico di quelli che la Calabria non può più permettersi.
Perché diciamocelo: il mare è in burrasca. E servono muscoli, nervi saldi, ma anche testa e carisma. Un capitano, non un vice-comandante. Uno che sa già dove portare la nave, perché c’è già stato nel mezzo dell’uragano e ne è uscito vivo. Anzi, più forte.
Il centrosinistra ha in mano la carta giusta. L’unica carta giocabile. Ma ogni giorno che passa senza metterla sul tavolo, quella carta scolorisce. E con essa, la speranza di cambiare davvero i destini di questa regione.
È il momento della scelta. E non è una scelta tecnica, ma politica, nel senso più nobile e crudo del termine: assumersi una responsabilità di fronte alla storia.
Giuseppe Falcomatà non è solo un nome. È una possibilità concreta di vincere. E di governare, che è molto più importante.
Se lo si lascia cadere, il centrosinistra non solo perderà le elezioni. Perderà la faccia. E con essa, la fiducia – forse definitiva – del suo popolo.
Le firme contano poco, quando a parlare è il dovere. Ma oggi, questa firma serve a mettere un punto fermo.
Luigi Palamara
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Reggio Calabria, 4 agosto 2025
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