Dimissioni all’italiana: l’arte di partire restando
“In Italia non c’è nulla di più definitivo del provvisorio”.
“Ma ci prendono per scemi?”.
Editoriale di Luigi Palamara
Roberto Occhiuto si è dimesso. Un gesto nobile, dicono. Un atto di rispetto per l’istituzione. Poi, un secondo dopo, annuncia che si ricandida. E allora il gesto nobile diventa un gioco di prestigio: ti faccio vedere la mano vuota, ma l’asso ce l’ho già nell’altra.
Perché qui, nel Bel Paese, le dimissioni non sono mai una resa. Sono una pausa strategica. Un pit stop. Si lascia la poltrona solo per potercisi sedere di nuovo con il cuscino più comodo e la stoffa stirata. È il grande classico: cambiare scena per non cambiare trama.
E la magistratura? Ah, lì la storia si fa interessante. Se i giudici credono che Occhiuto, anche senza la carica, possa muovere fili e telefonini, agiranno subito. Come fecero con Toti, in Liguria, dove le elezioni e le agende politiche non frenarono le manette. Se invece penseranno che il tempo giochi a loro favore, aspetteranno. Magari fino al giorno dopo il voto, quando l’eventuale rielezione lo rimetterebbe esattamente nel posto da cui si è appena alzato.
Il problema è che in questa partita non si gioca solo sul campo della giustizia. Si gioca anche — e soprattutto — su quello del consenso. Perché in Italia un’aula elettorale può valere quanto un’aula di tribunale. E se vinci alle urne, per metà della gente sei già innocente.
E così ci ritroviamo ancora una volta in quella commedia infinita dove il protagonista esce di scena, il pubblico applaude, i sipari si chiudono… e poi, toh, eccolo lì, rientrare con lo stesso vestito, la stessa battuta, e la stessa voglia di non mollare mai.
Il guaio è che noi spettatori lo sappiamo. E continuiamo a stare seduti.
E sapete qual è la verità?
Che qui non è colpa solo loro, dei politici.
È colpa nostra, di noi che glielo lasciamo fare.
Di noi che ci indigniamo un giorno e il giorno dopo ce ne dimentichiamo.
Di noi che li votiamo “perché tanto sono tutti uguali” e poi fingiamo sorpresa quando si comportano da uguali.
In un Paese serio, le dimissioni sono un addio. Qui sono una pausa caffè.
In un Paese serio, un processo si fa nei tribunali. Qui si fa nelle piazze, nei talk show, e — peggio — nelle urne.
E alla fine non importa se Occhiuto vincerà o perderà, se i giudici lo fermeranno o lo lasceranno correre.
Importa che noi continueremo a sopportare questo balletto osceno, applaudendo a scena aperta.
Perché la verità, la verità vera, è che siamo diventati complici di ciò che fingiamo di detestare.
Luigi Palamara
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