Calabria, basta con gli alibi. Tutti al voto per scegliere davvero, finalmente!

Calabria, basta con gli alibi. Tutti al voto per scegliere davvero, finalmente!

L’editoriale di Luigi Palamara

Tra pochi giorni, il 5 e il 6 ottobre, i calabresi avranno un appuntamento che non è con la politica – troppo screditata per meritarsi da sola tanto onore – ma con la propria coscienza.
Un voto non è un atto burocratico. È un gesto di vita. È il solo modo, il più elementare e insieme il più potente, che la democrazia concede a chiunque, ricco o povero, istruito o ignorante, di contare qualcosa. Non andare a votare, al contrario, è il tradimento di se stessi. È come dire: “Io non esisto. Decidete pure voi per me”.

Ora, i calabresi questo lo sanno. Lo sanno da decenni. Eppure, alla resa dei conti, la maggioranza resta a casa, rassegnata o complice. Alcuni si illudono che l’astensione sia una forma di protesta. Ma non c’è inganno più vile. L’astensione è la stampella del potere corrotto, il regalo più prezioso ai professionisti della clientela. Perché quando i cittadini si ritirano, i soliti noti restano soli sulla scena e governano indisturbati. E voi, che siete rimasti in pantofole, vi ritrovate il giorno dopo a mugugnare: “Sono sempre gli stessi”. Ma siete stati voi a lasciarli lì.

In Calabria, la politica è diventata un mercato. Ci si vende e ci si compra. Una promessa, un favore, un posto di lavoro inventato, un contributo fasullo. È il vecchio baratto medievale, ma più sporco: la dignità contro l’elemosina. E in Aspromonte lo diciamo chiaro: il bisogno “è cornuto”. E cornuto è chi accetta. Cornuto perché si lascia umiliare, cornuto perché non vede che dietro la mano che dà ce n’è un’altra che toglie, che ruba, che spolpa.

Vi capisco, sì. Capisco il bisogno. Capisco la fame, la disoccupazione, le difficoltà quotidiane. Ma non accetto la resa. Perché la resa non è necessità, è vigliaccheria. È abituarsi al giogo, piegare la testa, accontentarsi di sopravvivere quando si potrebbe vivere. E allora la colpa non è più solo di chi comanda: è anche di chi si lascia comandare.

La Calabria muore. Muore di emigrazione, di strade che franano, di ospedali che cadono a pezzi, di scuole senza insegnanti. Muore di silenzi, di omertà, di gente che preferisce il lamento all’azione. E intanto, fuori, il mondo corre. Gli altri costruiscono, innovano, si muovono. Noi restiamo zitti e immobili, come statue di sale, prigionieri di un eterno piagnisteo.

Eppure basterebbe così poco. Una scheda. Una croce. Un atto di volontà. Andare a votare non significa credere ai miracoli: nessuno li farà per voi. Significa almeno impedire che siano sempre gli stessi a speculare sul vostro silenzio. Significa, per una volta, dire “no” a chi vi usa e vi inganna.

Non vi sto chiedendo di fidarvi dei partiti. I partiti, oggi, sono gusci vuoti, macchine arrugginite che spesso servono più a garantire carriere personali che a risolvere problemi collettivi. Non vi sto chiedendo di credere nei candidati: li conoscete, li avete visti, sapete chi sono. Vi sto chiedendo di credere solo in voi stessi. Nel diritto che avete di scegliere, di cambiare, di contare. Perché la libertà non la regala nessuno: la si conquista.

Il 5 e 6 ottobre andate, andiamo, a votare non per loro, ma per la Calabria. Non per i politici, ma per la terra che vi ha cresciuti e che non merita di restare eterna vedova, sempre piangente, sempre abbandonata. Andateci con il cuore, senza pressioni, senza ricatti. Senza l’amico che vi accompagna e vi dice dove mettere la croce, senza il parente che pretende fedeltà. Andateci da soli, col vostro silenzio e la vostra coscienza.

E se proprio pensate che nessuno vi rappresenti, allora andate lo stesso: annullate la scheda, scriveteci sopra la rabbia, lasciate un segno che dica almeno “io ci sono”. Perché chi non vota, chi abdica, chi si chiude in casa, non esiste. È un’ombra. È il suddito che attende solo un nuovo padrone.

Calabresi, fatevi vedere dal mondo. Mostrate che non siete pecore ma uomini e donne liberi. Per una volta, fate tremare chi pensa di avervi già in tasca. Il voto è dinamite: usatelo.
Se non lo farete, non avrete diritto di lamentarvi. Perché chi si arrende prima di combattere ha già perso.

Luigi Palamara
Tutti i diritti riservati
Reggio Calabria, 30 settembre 2025

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