Editoriale – Elezioni Regionali in Calabria 2025 di Luigi Palamara
Questo è un paradosso, che da decenni osserviamo e che continua a ripetersi con la puntualità di una maledizione: l’Italia è una democrazia, eppure si comporta come se non lo fosse. O meglio: ne ha gli strumenti, ma li lascia arrugginire in un cassetto. Il voto. Quella scheda piegata, infilata nell’urna, che dovrebbe essere un atto di libertà e responsabilità. Invece è diventata, nell’opinione comune, un fastidio da sbrigare o peggio da ignorare.
In Calabria come altrove, troppi non sanno nemmeno che si vota. E se lo sanno, non ci vanno. Ci si giustifica dicendo che “tanto non cambia nulla”. Ma così facendo consegniamo le chiavi della nostra casa a una minoranza, permettendo a un 20% della popolazione di decidere per tutti e di comportarsi, poi, come se avesse l’investitura divina della maggioranza assoluta. Questo non è semplicemente un difetto del sistema: è una frattura che corrode le fondamenta della democrazia, riducendola a un simulacro.
È grottesco poter dire: “Gli italiani hanno il diritto di lamentarsi, ma non il dovere di agire”. Chi non vota non solo rinuncia a un diritto, ma tradisce una responsabilità verso se stesso e verso la collettività. È un atto di resa, una viltà travestita da disillusione.
Eppure, proprio ora, in queste Regionali di Calabria, l’astensione pesa più che mai. Roberto Occhiuto, il presidente uscente, resta avanti nei sondaggi, ma la forbice con il suo principale sfidante, Pasquale Tridico, si è accorciata. A seguire, Francesco Toscano, più indietro ma non privo di consensi. Lo scenario è aperto, le distanze meno granitiche di quanto si voglia far credere. E allora il destino politico della Regione si giocherà non tanto su chi convince di più, ma su chi decide di andare o non andare a votare.
Il 5 e il 6 ottobre, dunque, non è in ballo soltanto la rielezione di un presidente. È in gioco la misura della nostra maturità civile. Perché un popolo che abdica al suo diritto di scelta è un popolo che si consegna, inerme, nelle mani di pochi. Votare non significa credere ciecamente nei candidati. Significa difendere la democrazia dall’apatia che la divora.
E allora, per una volta, facciamolo. Andiamo. Mettiamoci in fila. Segniamo quella croce. Non lasciamo che siano gli altri – pochi, pochissimi – a decidere per tutti. Non è solo un dovere politico: è un atto di dignità personale.
Luigi Palamara
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Reggio Calabria 25 settembre 2025
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