Il giornalista, tra mezzo e voce. L'Editoriale di Luigi Palamara

Il giornalista, tra mezzo e voce
L'Editoriale di Luigi Palamara


C’è chi dice – e lo insegnavano i Maestri – che il giornalista non debba mai scrivere in prima persona. Che la bravura non stia nel raccontarsi, ma nel lasciare il lettore al centro della scena. Il giornalista, ci ripetono, è un mezzo: osserva, registra, trasmette. Non deve diventare protagonista.

Belle parole, forse persino nobili. Ma incompiute. Perché un giornalista non è un registratore muto né una macchina fotografica senz’anima. Un vero giornalista si occupa, si espone, rischia. Nessuna professione al mondo annulla la coscienza e l’opinione personale: chi lo sostiene mente o, peggio, teme la forza della scrittura altrui.

È bello raccontare i fatti, certo. È necessario, imprescindibile. Ma diventa meraviglioso quando quei fatti si colorano della carne e del sangue di chi scrive, quando si intrecciano con la sua voce, la sua visione, la sua indignazione o la sua speranza. Il problema non è “se” il giornalista debba parlare in prima persona. Il problema è “come”: con onestà, con coraggio, con responsabilità.

Chi si rifugia dietro il paravento della “credibilità” per negare la soggettività del cronista sbaglia e di grosso. La credibilità non è un dogma che cala dall’alto: si costruisce nel tempo, pezzo dopo pezzo, inchiesta dopo inchiesta, errore riconosciuto e vittoria conquistata. E l’archivio resta lì a testimoniarlo, muto ma incorruttibile, a dire chi sei stato e quanto vali.

Certo, nessuno può ergersi ad attore unico delle trasformazioni. La storia, le scienze sociali, perfino il caso hanno sempre l’ultima parola. Ma guai a pensare che il giornalista sia solo uno spettatore. Non lo è mai stato e non lo sarà mai. Quando racconta, partecipa. Quando scrive, agisce. Quando si espone, diventa a sua volta parte del cambiamento.

È questo, forse, il compito più alto e più ingrato: stare dentro le notizie senza affogare, dare voce senza rubare la scena, portare se stessi senza fare del giornale un diario personale. Eppure la verità resta una: un giornalismo senza voce è un giornalismo morto.

Un giornalismo che rinuncia alla voce per paura di disturbare non è giornalismo: è cronaca burocratica, carta senz’anima. Si può insegnare al cronista a non strafare, a non credersi il centro del mondo. Ma non si può chiedergli di amputarsi la coscienza. Il giorno in cui lo farà, non serviranno più giornalisti: basteranno i comunicati stampa. E a quel punto, statene certi, i lettori non leggeranno più noi. Leggeranno direttamente loro. I comunicati stampa.

Luigi Palamara Tutti i diritti riservati Reggio Calabria 3 settembre 2025

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