Il reddito di dignità non esiste? Allora non esistono i calabresi

Il reddito di dignità non esiste? Allora non esistono i calabresi
L'Editoriale di Luigi Palamara


Il presidente della Regione Calabria, Roberto Occhiuto, ha liquidato il cosiddetto reddito di dignità come una “fake news”. Non si può fare, dice. Non ci sono i fondi. Non ci sono le condizioni.

Ora, l’osservazione tecnica può anche avere una sua ragione. Ma è il tono, è la leggerezza con cui viene liquidata l’idea stessa di dignità, a lasciare interdetti. Perché se la dignità diventa una notizia falsa, allora cos’è reale in questa terra? Il clientelismo? Le promesse non mantenute? I tirocini eterni, che da strumenti temporanei si sono trasformati in una forma di precariato istituzionalizzato?

Occhiuto dice di aver ereditato 4.000 tirocinanti. E con un certo orgoglio sottolinea lo sforzo per stabilizzarli. Ma questa non è una medaglia al valore, è un’ammissione: la Calabria non produce lavoro vero, produce attese. Non fabbriche, non imprese, ma interminabili anticamere. Giovani che restano sospesi tra la speranza di un contratto e la realtà di una borsa che non diventerà mai salario.

E i fondi europei? Si evocano come il Santo Graal: se ne parla, ma non si vedono. Forse ci sono, forse no. Certo non finiscono mai là dove servirebbero di più: a dare ossigeno a una regione che muore di emigrazione e di rassegnazione.

Occhiuto sorride al “campo largo” e dice di non temerlo. Ma qui il problema non è la geografia della politica, né la misura di quanto il campo sia largo o stretto. Qui il problema è che la gente non ha più il seme da piantare, né il terreno per farlo crescere.

La verità è semplice e crudele: in Calabria la dignità non è un concetto astratto, né uno slogan da campagna elettorale. È una lotta quotidiana. È il coraggio di restare quando tutti ti invitano ad andartene. È la forza di resistere alla povertà, al disincanto, alle promesse dei politici di turno.

Dire che la dignità è una fake news è un insulto. Non alla sinistra, non a Tridico, non all’avversario politico di oggi. È un insulto ai calabresi stessi. A milioni di uomini e donne che non hanno bisogno di comunicati stampa per dimostrare che esistono.
Perché la loro dignità non è virtuale. È più dura dei Bronzi di Riace. È lì, viva, tatuata nel cuore.

Luigi Palamara
Tutti i diritti riservati
Reggio Calabria 21 settembre 2025

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