Reggio Calabria, la promessa del figlio alla Madre.
Sii felice, Reggio: oggi e sempre
L'Editoriale di Luigi Palamara
Ogni anno, a settembre, Reggio Calabria rinnova il rito della sua devozione più antica: la cerimonia della consegna del Cero Votivo alla Madonna della Consolazione. La città si ferma, le strade diventano un fiume, i volti si sollevano al passaggio della Patrona. Il Duomo si riempie di fedeli. È una scena che si ripete da secoli e che non smette mai di commuovere: la religione si intreccia alla storia civile, la tradizione diventa radice e identità. In quel gesto antico, Reggio si guarda allo specchio e riconosce se stessa.
Quest’anno, però, il rito della consegna del Cero Votivo è stato accompagnato da parole che hanno assunto il peso di un commiato. Il sindaco Giuseppe Falcomatà, dopo dodici anni di governo, ha salutato la città non con il tono burocratico di chi chiude un mandato, ma con la voce intima di chi lascia un pezzo della propria vita. Non era soltanto il rappresentante delle istituzioni a parlare, ma un uomo che ha consumato la sua esistenza pubblica tra il dovere e la speranza, tra la fatica quotidiana e l’amore mai spento per la sua comunità.
In quelle parole c’era un senso di appartenenza radicato. “La città è stata parte della mia famiglia”, ha detto. Non è un’immagine retorica: in una terra come la nostra, dove le case portano i segni dei padri e i vicoli custodiscono voci che non muoiono mai, la comunità davvero diventa famiglia allargata. La fascia non è stata per lui un simbolo di potere, ma una seconda pelle. E l’addio non ha avuto il sapore della sconfitta, bensì quello della promessa mantenuta: ho fatto quello che ho potuto, per amore.
Reggio Calabria è una città che conosce la fatica della sopravvivenza. Quanti giovani l’hanno lasciata, quanti portano nel cuore la nostalgia di un ritorno che non avviene mai. La partenza è ferita, la lontananza è destino. Ma in mezzo a questi addii ci sono anche i volti di chi resta, di chi decide di non abbandonare il luogo delle proprie radici, di affidare qui la propria vita e i propri sogni. A loro era rivolto l’appello più forte: restare è un atto di coraggio, un gesto di fede laica in questa terra.
Si è parlato di PNRR, di fondi e di miliardi spesi. Parole che altrove restano fredde, ma che qui si caricano di un significato diverso. Perché dietro quell’acronimo ci sono asili e parchi, case di comunità e strade illuminate. Non numeri, ma volti. Non classifiche, ma vite che migliorano. Il vero successo non è nell’essere primi in graduatoria, ma nel poter dire che i figli di questa città avranno una scuola più sicura, un giardino in cui giocare, un futuro meno incerto.
Eppure la rinascita di Reggio non passa soltanto dalle opere pubbliche. Passa soprattutto dalla capacità di affrontare i suoi mali antichi: la paura, l’omertà, la rassegnazione. La criminalità non si combatte con i silenzi, ma trasformando i luoghi del potere malavitoso in spazi di comunità: teatri, rifugi per donne, case aperte alla speranza. È una battaglia civile e morale che chiede coraggio, la stessa virtù che il sindaco ha invocato più volte: il coraggio di guardare in faccia il male e dire no, il coraggio di non piegarsi più agli stereotipi di un Sud perdente e sprecone.
La pandemia ci aveva ricordato quanto fragili siamo. Sembrava che la città fosse piegata, e invece ha trovato la forza di rialzarsi. Si è tornati ad abbracciarsi nelle piazze nuove, nei vicoli rigenerati, nei parchi rinati che sono diventati palcoscenici all’aperto. È stato come se la comunità avesse riscoperto la sua anima mediterranea: i colori intensi, i sapori autentici, le tradizioni antiche che nessun ospite potrà mai cancellare.
La vera tragedia del nostro Sud non è la povertà, ma il sentimento di solitudine che accompagna ogni vita. Questo discorso, invece, ha voluto essere un antidoto a quella solitudine: un richiamo alla comunanza, alla consapevolezza che nessuno deve sentirsi escluso dal destino collettivo. Nemmeno i più fragili, nemmeno chi vive ai margini. La storia di Marta, il centro “Dopo di noi”, il sostegno a chi teme il futuro: sono questi i segni concreti che trasformano la politica in servizio.
E poi le lacrime. Vere, non di circostanza. Le lacrime di un figlio di questa terra che niente e nessuno deve sporcare. È il volto pulito della Reggio bella e gentile, onesta, capace, talentuosa. Non perfetta, certo: poteva fare di più. Ma oggi consegna una città cambiata in meglio. Diversa.
Alla fine, l’immagine più potente è stata quella del figlio che rinnova la promessa alla Madre. Non soltanto la Madonna della Consolazione, ma la città stessa, intesa come madre esigente e ferita. “Sii felice, Reggio: oggi e sempre”, ha detto. È un augurio, ma anche un compito. Perché la felicità, in questa terra, non è mai un dono calato dall’alto: è una conquista da difendere ogni giorno, con lavoro, sacrificio, ostinazione.
Il futuro resta incerto, come sempre. Ma una certezza emerge chiara: Reggio non è più disposta a rassegnarsi al destino di città minore, di periferia dimenticata. Ha imparato a camminare con le proprie gambe, a pretendere rispetto, a chiedere ciò che le spetta. E se saprà custodire la memoria delle sue ferite e insieme coltivare la speranza dei suoi figli, potrà davvero scrivere una pagina nuova.
La strada sarà lunga, ma la città ha già fatto il primo passo: guardarsi negli occhi e riconoscersi come comunità. È da qui che si comincia sempre.
Luigi Palamara
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Reggio Calabria, 16 settembre 2025
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