Sanità in Calabria: il flop annunciato e la favola raccontata
L'Editoriale di Luigi Palamara
Ancora una volta, Roberto Occhiuto non perde occasione per parlare quando sarebbe più dignitoso tacere. La sanità pubblica in Calabria è al collasso, e chiunque viva in questa terra lo sa sulla propria pelle. I pronto soccorso sono gironi infernali, le attese per una TAC arrivano a un anno, le corsie restano vuote di personale e piene di disperati. In Calabria ci si ammala due volte: della propria malattia e della vergogna di non potersi curare.
La verità è semplice, dura, e sotto gli occhi di tutti: chi ha i soldi paga il privato o fugge altrove, chi non li ha resta intrappolato in un sistema che non funziona. E mentre i cittadini si arrabattano, i dirigenti e i manager ricevono puntualmente stipendi profumati. Un paradosso che non fa ridere, ma piangere.
Occhiuto ribatte, con il tono di chi deve sempre trovare un colpevole a monte. “La Calabria è commissariata da quindici anni”, dice. Giusto. Ma lei, presidente, da quattro anni governa e da quattro anni gestisce la sanità come commissario. Prima di lei, c’erano i tre inviati del governo Conte: un drogato presunto, un virologo improvvisato che spiegava il contagio col bacio alla francese, e un questore che non sapeva dove mettere le mani. Una galleria tragicomica che pare scritta da Gogol’. Ma lei non è stato migliore: solo più furbo nella narrazione.
I medici cubani. Ah, che invenzione mediatica! Da cavallo di battaglia a barzelletta nazionale, una soluzione-tampone venduta come riforma epocale. Eppure i pronto soccorso restano ingestibili, le ambulanze girano senza medici, gli ospedali di nuova costruzione sono scatole vuote. Altro che rivoluzione: è maquillage da due soldi, con la differenza che i soldi spesi sono veri e dei calabresi.
Lei rivendica “cinquemila assunzioni a fronte di duemilacinquecento pensionamenti”. Ebbene, i numeri non raccontano la realtà: perché assumere non significa curare, e costruire tre nuovi ospedali (Sibaritide, Vibo, Palmi) non significa riempirli di personale e servizi. Un ospedale senza medici è un guscio di cemento armato, non un luogo di cura.
E poi, la favola più grande: “Abbiamo appianato i debiti, niente più commissari”. Presidente, può raccontarsela, può raccontarla ai giornali amici, ma non ai calabresi. Perché qui, ogni giorno, chi entra in un pronto soccorso sa che può uscirne peggio di come è entrato. Ogni famiglia conosce qualcuno che ha dovuto scegliere se pagare una visita privata o rinunciare alle cure. Ogni malato oncologico sa che il tempo, qui, non è denaro: è condanna.
Caro Occhiuto, la sua narrazione non lava nessuna coscienza. I fatti parlano: quattro anni di acqua fresca, di flop clamorosi, di ospedali senza medici e di cittadini senza cure. Lei sarà ricordato non come il commissario che ha salvato la sanità calabrese, ma come l’ennesimo narratore di frottole in una terra stanca di favole.
E i calabresi, che non sono né ciechi né sordi, hanno capito. Le bugie possono volare. Ma i malati, purtroppo, restano a terra.
Luigi Palamara
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Reggio Calabria 21 settembre 2025
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