Tra il mare e l’Aspromonte: il respiro eterno della mia terra

Tra il mare e l’Aspromonte: il respiro eterno della mia terra
L'Editoriale di Luigi Palamara


In viaggio verso la Costa Jonica reggina, ci si accorge subito che non è un semplice spostamento geografico, ma un ritorno. Un ritorno a una radice, a un ventre materno che non smette di partorire emozioni. Il mare, gli ulivi, le agavi e il profilo sinuoso dell’Aspromonte sono lì da secoli, come sentinelle immobili, indifferenti al passare delle mode e dei governi, pronti invece ad accogliere chi sa riconoscere la loro eternità.

C’è chi guarda a questo Sud con commiserazione o con sufficienza, come fosse una zavorra dell’Italia. Ma non sa, non vede, non ascolta. Qui il respiro della terra è potente, quasi feroce, e ti inchioda con la forza di un destino. È un abbraccio che strozza e consola, che ti fa capire quanto piccolo sei e quanto, allo stesso tempo, ti appartiene ciò che hai davanti.

Ho inciso il mio nome sull’Aspromonte e l’eco risuona nel mare: è la metafora di ogni uomo del Sud, scolpito nella durezza delle montagne ma disperso dalle onde di un mare che lo porta altrove. Si parte, si fugge, si emigra. Eppure "la nostalgia non è solo dolore: è una fedeltà". Qui la fedeltà è visibile, palpabile: i luoghi aspettano sempre il ritorno del figlio, del pellegrino, del testimone.

A Siderno ho incontrato Carlo, “lu scarparu”. Un calzolaio. Uno di quei mestieri che non hanno più posto nel frastuono moderno, eppure resistono come piccole isole di poesia. Nel suo negozio, il profumo del cuoio si mescola con la memoria. In alto, una fotografia ingiallita di Peppi Musulinu, il re dell’Aspromonte, osserva con occhi severi e complici. Carlo racconta con la voce calma di chi “tocca con le mani quello che noi mettiamo nei piedi”. Non c’è nulla di retorico in questa frase: c’è il senso stesso della concretezza, del lavoro, della sopravvivenza.

Le scarpe che si aggiustano in quell’antro odoroso sono pezzi di storia che continuano a camminare. Non è solo artigianato: è fedeltà alla terra, è ostinazione contro l’oblio, è un modo per dire che non tutto è sacrificabile sull’altare della modernità.

E poi c’è il mare Jonio che respira profondo, come un grande polmone azzurro. Il suo profumo si mescola a quello del cuoio e diventa il sottofondo costante di questa vita di confine, tra l’antico e il presente, tra il necessario e l’effimero.

Amo la mia terra. La amo per le sue ferite mai rimarginate, per i suoi mestieri che sopravvivono ai margini, per la sua bellezza che non chiede di essere capita ma solo accettata. La amo, e sempre la amerò, perché ogni volta che torno mi riconosco: figlio dell’Aspromonte, eco del mare, pellegrino in una terra che non tradisce.

Luigi Palamara

Tutti i diritti riservati
Siderno (Reggio Calabria) 20 settembre 2025

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@luigi.palamara Tra il mare e l’Aspromonte: il respiro eterno della mia terra L'Editoriale di Luigi Palamara In viaggio verso la Costa Jonica reggina, ci si accorge subito che non è un semplice spostamento geografico, ma un ritorno. Un ritorno a una radice, a un ventre materno che non smette di partorire emozioni. Il mare, gli ulivi, le agavi e il profilo aspro dell’Aspromonte sono lì da secoli, come sentinelle immobili, indifferenti al passare delle mode e dei governi, pronti invece ad accogliere chi sa riconoscere la loro eternità. C’è chi guarda a questo Sud con commiserazione o con sufficienza, come fosse una zavorra dell’Italia. Ma non sa, non vede, non ascolta. Qui il respiro della terra è potente, quasi feroce, e ti inchioda con la forza di un destino. È un abbraccio che strozza e consola, che ti fa capire quanto piccolo sei e quanto, allo stesso tempo, ti appartiene ciò che hai davanti. Ho inciso il mio nome sull’Aspromonte e l’eco risuona nel mare: è la metafora di ogni uomo del Sud, scolpito nella durezza delle montagne ma disperso dalle onde di un mare che lo porta altrove. Si parte, si fugge, si emigra. Eppure "la nostalgia non è solo dolore: è una fedeltà". Qui la fedeltà è visibile, palpabile: i luoghi aspettano sempre il ritorno del figlio, del pellegrino, del testimone. A Siderno ho incontrato Carlo, “lu scarparu”. Un calzolaio. Uno di quei mestieri che non hanno più posto nel frastuono moderno, eppure resistono come piccole isole di poesia. Nel suo negozio, il profumo del cuoio si mescola con la memoria. In alto, una fotografia ingiallita di Peppi Musulinu, il re dell’Aspromonte, osserva con occhi severi e complici. Carlo racconta con la voce calma di chi “tocca con le mani quello che noi mettiamo nei piedi”. Non c’è nulla di retorico in questa frase: c’è il senso stesso della concretezza, del lavoro, della sopravvivenza. Le scarpe che si aggiustano in quell’antro odoroso sono pezzi di storia che continuano a camminare. Non è solo artigianato: è fedeltà alla terra, è ostinazione contro l’oblio, è un modo per dire che non tutto è sacrificabile sull’altare della modernità. E poi c’è il mare Jonio che respira profondo, come un grande polmone azzurro. Il suo profumo si mescola a quello del cuoio e diventa il sottofondo costante di questa vita di confine, tra l’antico e il presente, tra il necessario e l’effimero. Amo la mia terra. La amo per le sue ferite mai rimarginate, per i suoi mestieri che sopravvivono ai margini, per la sua bellezza che non chiede di essere capita ma solo accettata. La amo, e sempre la amerò, perché ogni volta che torno mi riconosco: figlio dell’Aspromonte, eco del mare, pellegrino in una terra che non tradisce. Luigi Palamara Tutti i diritti riservati Siderno (Reggio Calabria) 20 settembre 2025 #jonio #costajonica #aspromonte #editoriale #luigipalamara ♬ sonido original - Crece con Fe 🙏✨

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