Calabria, morire d’attesa
L'Editoriale di Luigi Palamara
In Calabria si muore due volte.
La prima, quando il cuore cede, o il respiro si spegne. La seconda, quando si scopre che l’aiuto non arriverà. Che l’ambulanza è a decine di chilometri di distanza. Che il medico non c’è. Che lo Stato, quello che dovrebbe garantire la vita, ha già staccato la spina da tempo.
Serafino Congi, 48 anni, è morto così. In casa sua, a San Giovanni in Fiore, nel cuore dell’altipiano silano, un giorno di gennaio che odorava di neve e di famiglia. È morto perché nessuno è arrivato in tempo. Perché di sei medici in organico ne era rimasto uno solo. Perché l’ambulanza non poteva partire. Perché il sistema d’emergenza, in Calabria, non è un sistema: è un abisso.
E poi Carlotta La Croce, 12 anni. Una bambina. Due ore d’attesa per un’ambulanza tra Soverato e Catanzaro. Due ore di burocrazia, di impotenza, di risposte fredde: “Si deve aspettare la vettura da Maida.” E mentre il tempo passava, la vita se ne andava.
Ora le procure indagano. Come sempre. Per accertare, per chiarire, per archiviare. Ma il punto non è solo giudiziario. È politico, morale, civile. È la domanda che si ripete da decenni: chi risponde, quando lo Stato non risponde più?
Il governatore uscente, Roberto Occhiuto, parla di “nuovi medici cubani”, di “piani di rientro”, di “riforme imminenti”. Ma il silenzio sul caso Congi e sulla morte di Carlotta pesa come una colpa. Perché in politica “non esiste l’innocenza, ma solo la responsabilità”. E qui, la responsabilità è collettiva. Di chi amministra, di chi tace, di chi si volta dall’altra parte.
In Calabria la sanità è diventata una lotteria. C’è chi vince un posto letto, chi perde la vita in attesa di un’ambulanza. Sessanta mezzi di soccorso nuovi, comprati e abbandonati nei parcheggi. Undici milioni spesi per comprarli, tredici per renderli utilizzabili. E intanto i cittadini continuano a morire.
Serafino non era un eroe. Era un uomo normale, come la moglie Caterina, come le figlie che oggi chiedono soltanto verità. “Siamo tutti Serafino”, dice l’associazione nata nel suo nome. Un motto che suona come un monito: siamo tutti potenzialmente vittime di questo sistema che chiama emergenza ciò che è abbandono, e riforma ciò che è immobilismo.
“La rabbia è un dovere quando l’ingiustizia è una regola”. Ed è questo, ormai, il dovere di chi scrive e di chi legge: non abituarsi. Non accettare la morte come una fatalità geografica. Non permettere che la distanza tra Cosenza e Catanzaro diventi la misura della vita di un cittadino italiano.
In Calabria non mancano i cuori. Mancano le sirene che li salvano.
E quando uno Stato non è più capace di proteggere i suoi cittadini, non è più uno Stato. È solo un fantasma che firma decreti mentre la gente muore d’attesa.
Luigi Palamara
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Reggio Calabria 6 ottobre 2025
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