Castel D’Azzano: lo Stato nella polvere. L'Editoriale di Luigi Palamara

Castel D’Azzano: lo Stato nella polvere
L'Editoriale di Luigi Palamara 

Nelle campagne del Veronese, quando l’alba arriva, non annuncia speranze: porta la nebbia e l’odore della terra umida, il respiro delle case stanche.
È in una di quelle case, un casolare spelacchiato, che la notte scorsa tre uomini sono morti per lo Stato, e tre altri hanno cercato di morire contro di esso.
Così si racconta una tragedia che somiglia a molte, ma che qui, nella polvere, prende il colore dell’eterno.

I fratelli Ramponi erano contadini, figli di una fatica antica.
Avevano lavorato la terra, creduto nella casa, e lentamente avevano visto tutto crollare: i raccolti, i debiti, le firme, la speranza.
E come spesso accade a chi non ha più niente, si erano convinti che l’ingiustizia fosse tutto ciò che restava del mondo.
Quando lo Stato bussa alle porte dei poveri, porta con sé il suono delle carte e delle sentenze, e sembra un nemico che viene da lontano.
Così la disperazione, che è una fiamma muta, si accende.
E diventa gesto.
E diventa strage.

Nella notte dello sgombero, i carabinieri arrivano piano, come sempre fanno: con la misura di chi sa che la legge non è soltanto forza, ma necessità.
Sono uomini che parlano sottovoce, che si tolgono il cappello entrando, che conoscono la dignità dei vinti e la miseria dei furiosi.
Sono il volto dello Stato quando lo Stato non ha volto.
La loro presenza, in ogni paese, è la continuità stessa dell’Italia: la divisa che attraversa la neve e il caldo, la mano che soccorre, che ammonisce, che difende.
Non fanno retorica, non hanno fanfare.
Eppure senza di loro — senza quel presidio silenzioso che veglia anche dove tutto tace — lo Stato sarebbe un nome vuoto, un’assenza.

Poi arriva l’odore del gas, il rumore del ferro, l’esplosione.
Un lampo e la casa si sbriciola, come una bestia che muore.
I carabinieri cadono, tre nomi che ora resteranno sulle lapidi: Marco Piffari, Davide Bernardello, Valerio Daprà.
Non sono eroi per scelta, ma per destino.
Hanno portato la legge dentro l’abisso della miseria, e lì hanno trovato la morte.
Non nel gesto grandioso, ma nel mestiere quotidiano: quello che non si racconta mai, ma che tiene in piedi la civiltà.

In Italia, da sempre, la tragedia nasce dove lo Stato arriva tardi.
Tra la solitudine dei poveri e la lentezza della giustizia, c’è un vuoto che nessuno riempie.
E in quel vuoto la disperazione diventa arma.
La casa che esplode, il debito che divora, il mutuo che condanna: non sono fatti nuovi, sono segni di una vecchia malattia — quella che Corrado Alvaro chiamava “il dolore della rassegnazione”.
Perché nei nostri paesi si muore prima di morire: si muore nel silenzio, nell’indifferenza, nell’attesa che qualcuno si accorga.

Ma lo Stato non può essere soltanto tribunali e sgomberi.
Deve essere la sua voce, quella dei Carabinieri che parlano al contadino, che conoscono le case, le persone, le storie.
Loro sono la trincea morale dell’Italia, la frontiera che tiene unito un Paese che si sfalda ai margini.
Se cadono loro, se li dimentichiamo, se li riduciamo a funzionari di ordine pubblico, allora cade con loro la fiducia, la percezione stessa di una patria che vigila.

"L’uomo che non ha più speranza non appartiene più a nessuno”.
I fratelli Ramponi avevano smesso di appartenere a qualcosa, ma i carabinieri che li affrontavano appartenevano a tutti noi.
Ecco la differenza che fonda una nazione: tra chi si chiude nella disperazione e chi, nonostante tutto, continua a credere nel dovere.

Ora, tra le macerie del casolare, resta l’odore della polvere e del sangue.
I vigili del fuoco scavano, i colleghi piangono in silenzio.
E il Paese, per un giorno, si ricorda che la divisa non è solo ordine, ma presenza, quella presenza che consola e protegge, che fa da argine al caos.
Poi torneremo a dimenticare, come sempre.
Ma in questa notte che non finisce, forse lo Stato — se vuole ancora chiamarsi tale — deve tornare a camminare con i suoi uomini, nei paesi, tra le case, tra le macerie, nella polvere dove si misura davvero la dignità di un popolo.

Luigi Palamara 
14 ottobre 2025
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