Centrosinistra calabrese. Mario Oliverio: anatomia di una crisi e la sfida della ricostruzione
di Luigi Palamara
Reggio Calabria, 23 ottobre 2025.
In una sala gremita, segnata dal brusio di voci che si riconoscono dopo anni di sconfitte, Mario Oliverio prende la parola. Ha l’aria di chi non deve più convincere nessuno, ma solo dire la verità.
«Non possiamo nasconderci dietro le parole. È una sconfitta pesante», esordisce.
E il tono con cui lo dice non è quello del politico in cerca di attenuanti, ma del militante che decide di guardare la realtà negli occhi.
Un popolo politico ancora vivo.
Il primo dato è la partecipazione. In un tempo di disincanto e astensionismo, l’affluenza a un incontro politico può sembrare un dettaglio, ma non lo è. «Essere in tanti, oggi, è un segnale importante», sottolinea Oliverio.
Un segno che nel centrosinistra calabrese «c’è ancora un cuore che batte». Un’anima ferita, ma viva.
Dietro questa frase, c’è un concetto chiave: la politica come comunità di valori, non come macchina elettorale.
È il filo rosso che attraversa tutto l’intervento.
Il significato profondo di “ricostruire”.
La parola attorno a cui ruota il discorso è ricostruire. Non è uno slogan, ma una presa d’atto: le fondamenta stesse della rappresentanza progressista sono crollate.
Ricostruire significa, prima di tutto, capire le ragioni di un declino che non è solo numerico, ma culturale e morale.
Dal 2020 a oggi, il centrosinistra ha perso tre volte consecutive. I numeri parlano chiaro:
2014: 490.000 voti, 61,8%
2020: 330.000 voti (Callipo)
2021: 316.000 (Bruni)
2025: 330.813 (Tridico), contro i 453.000 del centrodestra (57,6%)
E a Reggio Calabria il divario è quasi doppio: 65,3% contro 33,5%.
Una tendenza costante, che non può più essere imputata solo alla disillusione o al calo di partecipazione. Nel 2014, quando Oliverio vinse, votò il 44% degli aventi diritto: esattamente come oggi.
> “Non è quindi un problema di affluenza. È un problema politico.”
Dietro la statistica, la diagnosi è brutale: il centrosinistra ha smarrito la propria identità e la capacità di rappresentare i ceti popolari.
Un’opposizione silente.
Oliverio non fa sconti a nessuno.
Denuncia un fatto che molti sussurrano da tempo: l’assenza di un’opposizione credibile al governo Occhiuto.
Non una campagna incisiva, non una proposta alternativa, non un’azione sociale capace di tradurre il malessere diffuso in mobilitazione politica.
Il risultato è che la destra governa indisturbata, narrando se stessa come “nuova” e “moderata”, mentre la sinistra osserva in silenzio.
Sanità e PNRR: le promesse mancate della destra.
Sul piano concreto, Oliverio elenca due fallimenti emblematici: la sanità e il PNRR.
La sanità calabrese — commissariata da oltre un decennio, oggi sotto la guida diretta di Occhiuto — è «al collasso».
Gli indicatori peggiori d’Italia, tempi d’intervento fuori norma, ospedali senza personale.
La fuga dei giovani medici, attratti da altre regioni, è ormai strutturale.
Sul PNRR, il bilancio è ancora più sconfortante:
> “La Calabria è l’unica regione che non ha realizzato un grande progetto strategico.”
Niente infrastrutture, niente alta velocità, nessun piano di sviluppo locale.
Una “occasione storica perduta”, dice Oliverio.
E qui la critica si allarga: senza progetti, non c’è visione; senza visione, la politica è solo amministrazione dell’esistente.
Lo spopolamento come metafora della sconfitta.
Ma la crisi più profonda non si misura nei voti né nei bilanci: si misura nelle strade vuote.
Oliverio lo dice con tono civile ma dolente:
> “Basta passeggiare la sera per vedere vetrine spente e città deserte.”
È la fotografia più eloquente di una Calabria che si svuota non solo fisicamente, ma spiritualmente.
Lo spopolamento è il simbolo della fine del legame tra politica e speranza.
La desertificazione dei partiti.
Poi arriva l’autocritica più radicale.
I partiti — quelli che un tempo erano scuole di formazione e presìdi democratici — oggi sono “gusci vuoti”.
Circoli chiusi, congressi rituali, dibattiti assenti.
La politica, dice Oliverio, «è diventata carriera individuale, non servizio collettivo».
E la “desertificazione politica” è, per lui, il male più grave: senza luoghi di confronto, non nascono idee né leadership autentiche.
Giovani e rinnovamento: la lezione di metodo.
Un passaggio cruciale riguarda il rinnovamento generazionale.
Oliverio ne smonta la retorica:
> “Non può significare solo sostituire i vecchi con i giovani.”
La giovinezza, da sola, non è garanzia di rinnovamento.
Serve una formazione culturale e politica, un radicamento territoriale, una consapevolezza storica.
Solo così si può costruire una classe dirigente capace di guidare, non di apparire.
Divisioni e autolesionismo.
Oliverio cita due casi emblematici:
A Cosenza, due candidati di area centrosinistra si sono divisi i voti, regalando la provincia a Forza Italia.
A Crotone, il PD è sceso all’8%.
Due episodi che rivelano la stessa patologia: divisioni, personalismi, logiche di autoconservazione.
È un’autocritica severa, ma anche un appello alla maturità: o si ricompone un fronte unitario, o la sinistra continuerà a implodere.
Una destra di facciata.
La denuncia si chiude con un giudizio politico netto:
> “Questa destra non è moderna. Si maschera da nuova, ma resta rapace e ingannatrice.”
Una “destra social nei modi, ma vuota nei contenuti”, che vive di comunicazione e non di progettualità.
Non c’è competizione sulle idee, solo spettacolo.
Ed è proprio questa “messa in scena” che, agli occhi di Oliverio, rivela la debolezza culturale del centrosinistra: aver abdicato al racconto, lasciando che la narrazione la scrivesse l’avversario.
Ricostruire: un verbo come programma.
Nel finale, Oliverio torna alla parola che apre e chiude il discorso: ricostruire.
Non è nostalgia del passato, ma richiamo a una responsabilità collettiva.
Ricostruire significa tornare tra la gente, restituire dignità alla politica, riaccendere la speranza.
«Non chiedo nulla per me — conclude — ho 72 anni. Ma non voglio assistere, in silenzio, al declino di questa terra.»
È una frase che ha il peso di un testamento politico.
Un invito a una nuova stagione di impegno civile, oltre le sigle e i personalismi.
Una lezione per la sinistra nazionale.
Il messaggio finale è rivolto a Roma:
> “La Calabria non può essere trattata come una periferia dimenticata.”
La crisi del Sud è la cartina di tornasole della crisi nazionale del centrosinistra.
La mancanza di visione qui diventa macroscopica, ma le cause sono le stesse ovunque: assenza di radicamento, di pensiero, di comunità politica.
Oliverio, da vecchio militante, non cerca un ruolo. Cerca ascolto.
E forse, nella fierezza della sua voce, si sente ancora un filo di speranza: quella di chi sa che ricostruire è difficile, ma possibile.
A partire dalla verità.
Luigi Palamara
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Reggio Calabria 23 ottobre 2025
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