Dieci domande, dieci silenzi. L'Editoriale di Luigi Palamara

Dieci domande, dieci silenzi.
L'Editoriale di Luigi Palamara 

Qualcosa di antico, quasi archeologico, accade nel gesto di un giornalista che si alza e domanda. Non urla, non insulta, non supplica: domanda.
Corrado Formigli lo ha fatto a Piazza Pulita, davanti a un’Italia distratta e a un potere che non ama essere disturbato nemmeno dal rumore delle matite. Ha posto dieci domande – dieci, tonde come i comandamenti, appuntite come aghi – alla Presidente del Consiglio Giorgia Meloni. E come tutte le vere domande, non avranno risposta.

Ma intanto, sono state fatte. E già questo, in un Paese che troppo spesso confonde la fedeltà con la servitù, è un atto di resistenza civile.

Perché la libertà di stampa – quella di cui si riempiono i comunicati ufficiali, gli hashtag e le cerimonie – non è un nastro da tagliare ma un campo minato da attraversare. E chi lo fa, come Ranucci, come Formigli, come chiunque osi indagare dove il potere preferirebbe il silenzio, finisce per essere bollato come nemico, sovversivo, “giornalista sgradito”.

Formigli, con tono fermo e senza inchini, ha ricordato alla Presidente le sue stesse parole di solidarietà verso Sigfrido Ranucci:

> “La libertà e l’indipendenza dell’informazione sono valori inalienabili delle nostre democrazie, che continueremo a difendere.”

Benissimo. Ma poi?

Poi vengono le domande, una dopo l’altra, come colpi di tamburo:

1. “Come si può conciliare la libertà di stampa che lei invoca con le querele a raffica che vengono fatte sistematicamente dal suo partito, dal suo governo, a tutti i giornalisti, a tutte le trasmissioni che esprimono delle critiche verso il governo stesso?”

2. “Come si concilia la libertà di stampa con il rifiuto di rinunciare anche alle querele più temerarie che ci siano, e lo sono quasi tutte, intimidatorie, temerarie, e che vanno a finire in archiviazione o in assoluzione?”

3. “Come si concilia la libertà di stampa con l'occupazione sistematica, pervicace e pervasiva della RAI?”

4. “Come si concilia la libertà di stampa con l'idea che perfino il direttore del principale telegiornale pubblico potrebbe potenzialmente diventare, come lei gli aveva proposto, suo portavoce a Palazzo Chigi?”

5. “Come si concilia questo elogio dell'informazione e della democrazia attraverso l'informazione con il varo di norme che rendono impubblicabili ordinanze di custodia cautelare, intercettazioni che sono vitali per formare e informare l'opinione pubblica?”

6. “Come si concilia la libertà di stampa con i giornalisti spiati con il software Paragon?”

7. “Come si concilia la libertà di stampa con le centinaia di ore di girato della famosa inchiesta ‘Lobby Nera’?”

8. “Come si concilia la libertà di stampa con le veline del sottosegretario Fazzolari inviate ogni mattina ai giornalisti ‘amici’ affinché vengano pubblicate?”

9. “Come si concilia la libertà di stampa con gli attacchi ai conduttori sgraditi fatti addirittura attraverso l'account ufficiale del primo partito italiano, Fratelli d'Italia, partito al governo?”

10. “Come si concilia la libertà di stampa con il suo sistematico sottrarsi alle domande?”

Dieci domande, dieci silenzi.

Non un insulto, non una provocazione, ma la nuda esposizione di un paradosso: proclamare la libertà e al tempo stesso temerla.
Perché la libertà vera non è mai comoda. È una pietra nelle scarpe del potere, un fastidio continuo che impedisce di correre verso l’autocompiacimento.

In tempi non sospetti, si direbbe che “il potere teme la parola più di ogni bomba”. E si ha ragione. Perché una domanda, se è vera, continua a bruciare anche quando chi l’ha posta è stato messo a tacere.

E allora, mentre la Presidente Meloni tace, mentre la RAI si normalizza e le querele volano come droni, resta questo piccolo atto di coraggio: un giornalista che domanda.
E un Paese che, forse, ascolta.

Perché la democrazia non vive di risposte: vive di domande che nessuno ha ancora avuto il coraggio di soffocare.

Luigi Palamara 
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