Falcomatà, l’uomo solo che ha vinto contro tutti

Falcomatà, l’uomo solo che ha vinto contro tutti

L'Editoriale di Luigi Palamara


Qualcosa di profondamente italiano – e calabrese, soprattutto – si ritrova nella parabola politica di Giuseppe Falcomatà. Qualcosa che somiglia alla sorte degli uomini del Sud: amati e traditi, esaltati e poi lasciati soli davanti al destino. L’uomo che molti davano per finito, accerchiato, logorato, ha trovato nella solitudine la sua forza. Come accade a chi, nelle nostre terre, impara presto che la speranza non è un dono, ma una conquista.

Falcomatà ha prima lasciato che i suoi camminassero da soli, che il vento delle ambizioni scompaginasse le carte del partito e del potere. Tutti pensavano che fosse finita, che il “ragazzo sindaco” avesse smarrito la strada. E invece ha deciso di ricominciare. Da solo. In ritardo, sì, e in salita. Ma con quella ostinazione antica che appartiene agli uomini abituati a lottare senza chiedere permesso.

E la faccia, Falcomatà, ce l’ha messa tutta. E in questa terra, mettere la faccia significa metterci l’anima.

Il risultato parla chiaro: Ranuccio lo supera di poco, ma il dato è “drogato” – come dicono i tecnici – dalle doppie preferenze, da quei meccanismi che riempiono le urne ma svuotano la politica. A Siderno, quasi mille voti doppi per Giuseppe Ranuccio: una marea che non nasce dal vento, ma dal calcolo. Falcomatà, invece, ha corso nudo, con la sola compagnia del proprio nome. Per chi fosse distratto, è figlio di Italo: un’eredità pesante, ma anche luminosa. Ha corso senza reti di protezione, senza scambi né intercessioni.

Eppure, se non si fosse inserito l’amico Giovanni Muraca – parte di un partito, il PD, che sembra aver perso la memoria di sé – Falcomatà avrebbe avuto almeno 3.500 preferenze in più. Questo è un dato, non un’opinione.
Ma Giovanni è il primo dei non eletti e ha ancora qualche chance per rientrare in Consiglio regionale. È anche questa, in fondo, la bellezza della politica: due amici che diventano rivali, due strade che si separano. Forse un’amicizia interrotta, che va ricucita. Diverso sarà, semmai, il percorso politico. Ma ci piace credere che, al di là delle contese, possano ritrovarsi ancora – e sempre – amici.

Più dei numeri, però, conta ciò che resta: il segnale che, anche quando tutto rema contro, l’uomo, da solo, può ancora contare più del sistema. Che il consenso non si costruisce solo nei circoli, ma nel cuore delle persone che ti riconoscono come “uno di loro”.

Oggi Giuseppe Falcomatà è l’unico consigliere regionale eletto in città. A Reggio Calabria. L’unico. Da questa solitudine, che ha il sapore amaro della responsabilità e insieme la dolcezza della rivincita, può guardare al futuro con la calma di chi ha attraversato la tempesta e ne è uscito in piedi.

Il potere, in politica come nella vita, non si eredita. Si riconquista, giorno dopo giorno, con la fatica e con la fiducia. E Falcomatà lo ha fatto.

Ora, mentre gli altri contano voti e tessere, lui ascolta il silenzio della città. Quel silenzio che solo i vincitori veri conoscono: un silenzio che non è vuoto, ma attesa. Attesa di capire, di decidere, di disegnare il futuro.
Perché, in fondo, “la solitudine è la vera condizione dell’uomo forte”. E chi vince da solo, da solo può anche scegliere il destino degli altri.


E tuttavia, a ben guardare, Giuseppe Falcomatà non è mai stato davvero solo. Accanto a lui c’è stato – e continua a esserci – un gruppo di fedelissimi, uomini e donne che lo hanno seguito con convinzione e lealtà, anche nei momenti più difficili. E, soprattutto, una marea di persone comuni: cittadini senza tessere né incarichi, che hanno visto in lui un volto in cui riconoscersi. Sono loro la sua forza silenziosa, la sua vera compagnia in questa lunga traversata. Perché nessuna vittoria è mai soltanto di un uomo: è di una comunità che ha scelto di crederci ancora.

Luigi Palamara
Tutti i diritti riservati
Reggio Calabria, 9 ottobre 2025

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