Il Moderno-Medioevo
L'Editoriale di Luigi Palamara
Viviamo un Medioevo che non appartiene alla storia, ma all’oggi.
Un Medioevo moderno, lucido, ordinato, dove i cavalieri non hanno armature ma cravatte, e i servi non portano catene ma contratti a termine.
Potere e povertà viaggiano insieme, complici di un disastro che non ha più né vincitori né vinti.
Il degrado non è più solo quello delle strade, dei ponti che cadono, delle città che si sbriciolano. È un degrado interiore, lento, che scava dentro. Si sta guastando ciò che di più fragile e prezioso possedevamo: la civiltà.
Non c’è più vergogna, non c’è più pudore. Siamo diventati spettatori di noi stessi, come se la vita fosse un film girato da altri, e noi, comparse stanche, continuassimo a recitare per inerzia.
Si dice che il mondo abbia bisogno di conoscenza, ma la conoscenza, oggi, è un pretesto per mostrarsi, non per capire.
Tutti insegnano, nessuno impara. Tutti parlano, nessuno ascolta. È una solitudine di massa, una folla che si muove senza meta, dove ciascuno urla per paura di scomparire nel silenzio.
E anche chi comanda non comanda più davvero. Il potere ha perso la misura di sé, si è fatto febbre, delirio di onnipotenza.
Quando l’uomo si crede Dio, costruisce solo deserti.
Nel quotidiano, la vita è diventata un assedio. Suona il campanello e non è mai una buona notizia: bollette, multe, richieste, doveri.
Le famiglie si consumano nell’ansia, nell’impotenza, nella rabbia.
Dentro le case si spengono le voci, si ammutoliscono gli affetti, si uccide l’umanità.
Siamo diventati stranieri dentro le nostre mura.
Eppure, come scriveva Corrado Alvaro, «la disperazione più grave che possa impadronirsi d’un popolo è il dubbio che vivere onestamente sia inutile».
E questo dubbio oggi è ovunque.
La società è un corpo senza nervi, una democrazia di parole e slogan.
Ci aggrappiamo ai social per sentirci vivi: scriviamo, condividiamo, imploriamo un “mi piace” come fosse una carezza. Ma dietro lo schermo, non c’è nessuno. Solo il rumore del vuoto.
Vorremmo resettare tutto, ripartire. Ma la vita non si formatta.
Si va avanti a fatica, con la testa bassa e la paura che, un giorno o l’altro, anche quel poco che resta ci venga tolto.
E chi osa ribellarsi, chi osa ancora credere, viene deriso, isolato, schiacciato.
La storia, che pure dovrebbe essere maestra, tace.
E intanto il nostro tempo scivola verso un Medioevo nuovo, senza fede né ideali, dove la giustizia è parola da museo e la libertà una concessione temporanea.
I poteri si affrontano tra loro, come bestie stanche che non sanno più chi mordere.
E il popolo, per un istante, respira. Poi torna a piegarsi.
Perché chi ha il potere non ne ha mai abbastanza, e chi non ne ha, ormai, ha dimenticato come si chiede.
C’è nell’aria una rabbia sottile, un fremito che serpeggia silenzioso. È il respiro del mondo che prepara la sua risposta.
Il Potere ha schiacciato sull’acceleratore, la Povertà gli siede accanto.
Corrono insieme, contro il muro della dignità, dell’orgoglio, dell’umanità.
E noi, figli smarriti di un’epoca che ha barattato la libertà con la connessione, li guardiamo andare incontro alla fine — sperando che, nel boato, qualcosa di vero torni a nascere.
Luigi Palamara
Tutti i diritti riservati
Reggio Calabria 16 ottobre 2025
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