Il peso ingiusto del passato
L'Editoriale di Luigi Palamara
Viviamo in un Paese dove il passato non passa mai.
Dove il “cartellino penale” diventa una condanna perpetua, una cicatrice che non si rimargina, un marchio che sostituisce il volto.
È lì che la società va a cercare la verità su un uomo: nelle sue colpe, vere o presunte. Mai nei suoi gesti, mai nel suo riscatto.
Eppure, nessuno è solo il proprio errore.
Ma da noi, sembra che il male pesi cento chili e il bene non arrivi nall’etto.
Perché il bene non fa notizia, non porta voti, non riempie i titoli dei giornali.
Il bene non interessa. È silenzioso, discreto, invisibile.
Mentre il male, quello sì, è spettacolo. È carnevale di giudici improvvisati e moralisti d’occasione.
Così l’ingiustizia si insinua nella vita di molti, spesso senza rumore.
C’è chi paga due volte: una davanti alla legge e un’altra davanti alla società.
C’è chi, pur avendo scontato la propria pena, resta prigioniero del sospetto, escluso dal lavoro, dagli affetti, dalla fiducia.
Sono vite sospese, marchiate da un passato che non concede appello.
E ogni porta chiusa, ogni sguardo diffidente, diventa una nuova condanna, invisibile ma durissima.
Ci riempiamo la bocca con parole come “riabilitazione”, “redenzione”, “dignità umana”.
Poi, alla prima occasione, torniamo a rovistare nel fango degli altri, a ricordare loro che non sono mai stati santi.
Come se la vita di un uomo potesse essere riassunta da un faldone, da una sentenza, da una scheda scritta a macchina.
Una civiltà che si limita a giudicare, senza saper perdonare, è una civiltà malata.
E una giustizia che pesa solo le colpe e non i meriti è una giustizia zoppa.
Perché l’essere umano non è un codice penale: è un intreccio di cadute e risalite, di errori e di miracoli quotidiani.
Bisognerebbe aggiornare tutto questo, sì.
Rivedere la bilancia con cui giudichiamo il prossimo.
Mettere accanto ai precedenti penali i “precedenti morali”: le mani tese, i figli cresciuti, le notti passate a lavorare, le parole spese per chi aveva meno.
Solo così si può spezzare la catena dell’ingiustizia che schiaccia chi ha già pagato, e restituire alla vita la sua seconda possibilità.
Perché se continuiamo a pesare solo il male, finiremo per cancellare la parte migliore dell’uomo: la possibilità di cambiare.
E allora sì, sarà un’ingiustizia eterna.
Altro che precedenti.
Luigi Palamara
Tutti i diritti riservati
#editoriale #luigipalamara
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