Il prezzo della dignità. L’Editoriale di Luigi Palamara

Il prezzo della dignità

L’Editoriale di Luigi Palamara


Se i soldi ci sono, bene.
Se non ci sono, è una tragedia.

In questa semplicità disarmante sta la fotografia del nostro tempo. Un’epoca in cui la misura di tutto — anche del valore umano — sembra ridotta a un saldo di conto corrente. Non è retorica, né moralismo da vecchi tempi: è realtà.

Viviamo in un mondo che ha abolito la pietà in nome dell’efficienza. Eppure le risorse, se solo le si volesse distribuire con equità, basterebbero a garantire una vita dignitosa a ciascuno. Ma l’uomo, nella sua ostinata corsa all’evoluzione, ha imparato una sola, antica lezione: quella di creare disuguaglianze.

Da una parte chi accumula, dall’altra chi sopravvive.
Un divario che non è più solo economico: è morale. Le guerre — quelle vere, con i morti e le macerie — nascono da questo squilibrio. Le religioni, troppo spesso, si limitano a fornire il pretesto, il velo sottile dietro cui si nasconde l’avidità.

Il capitalismo, che doveva essere motore di progresso, è diventato una macchina che tritura dignità. Ha trasformato i popoli in consumatori cinici, ha reso la speranza un bene di lusso. Così la società si regge su una bomba sociale pronta a esplodere: fatta di invisibili, di esclusi, di persone che non contano più nemmeno come statistica.

Non è più una questione di politica economica, ma di civiltà.
Serve un modello nuovo, o forse il recupero di uno antichissimo: quello della misura, della solidarietà, della responsabilità collettiva. Bisogna ritrovare quei ganci sociali che tengano in piedi il senso della vita comune, prima che il nichilismo del profitto ci condanni all’indifferenza assoluta.

E qui — permettetemi — torna alla mente un’immagine che sa di memoria e di rimpianto. Solo quarant’anni fa, i piccoli paesi erano vivi. Le piazze, i bar, le botteghe: tutto respirava umanità. Erano il cuore pulsante dei grandi centri, la linfa morale di un’Italia che aveva ancora un senso di comunità. Oggi, di quei luoghi restano le finestre chiuse, le case vuote, il silenzio che si stende come una coperta su ciò che fu vita.

La vera arte, la vera cultura, la vera vita — “umana, semplice e vera” — nascevano lì, dove il tempo aveva ancora il coraggio di essere lento. Dove la parola contava più del rumore, e il volto di un vicino più del profilo di uno sconosciuto sui social. Lì maturavano i pensieri profondi, i dibattiti sinceri, le scelte che cambiavano davvero.

La loro distruzione coincide con la fine di una civiltà.
Abbiamo bisogno di piccoli spazi condivisi, non di enormi spazi di solitudine. È così ovvio e disarmante, eppure sembriamo non accorgercene. Abbiamo smesso di abitare i luoghi e, con essi, di abitare noi stessi.

Gli invisibili non si possono più ignorare. Li vediamo ai margini delle nostre città, nei volti che chiedono senza più voce. Sono il riflesso di una società che ha smarrito se stessa.

E se non torneremo a guardare quegli occhi, a riconoscere la dignità dove oggi c’è solo il silenzio, non servirà una guerra per distruggerci.
Basterà continuare così.

Luigi Palamara
Tutti i diritti riservati
Reggio Calabria, ottobre 2025

Fotografie del collage di Francesco Francesco Palamara

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