Io scrivo. Punto.

Io scrivo. Punto.
L'Editoriale di Luigi Palamara


Io non sto da nessuna parte. Non perché manchi il coraggio di schierarmi, ma perché, in questo tempo di tifoserie e di slogan, stare “da qualche parte” è diventato il modo più elegante per non pensare.
Io scrivo. Punto. E già questo, oggi, sembra un atto sovversivo.

Viviamo in un’epoca in cui tutti vogliono sapere da che parte stai prima ancora di ascoltare cosa dici. Se non ti inchini, ti accusano di superbia; se non ti arruoli, ti chiamano vigliacco. Ma chi scrive davvero — chi ancora crede che la parola sia un mestiere e non un manifesto — non deve niente a nessuno se non alla verità.
E la verità, quando la si incontra, non porta bandiere.

Scrivere, oggi, significa resistere all’urgenza di appartenere. Significa farsi nemici, anche tra gli amici. Significa restare soli, ma liberi. È un mestiere da matti perché ti costringe ogni giorno a sputare sangue su un foglio per difendere un’idea che non si lascia addomesticare.
Eppure è l’unico modo per non tradirsi.

Io scrivo non per convincere, ma per capire. Non per giudicare, ma per vedere. E se qualcuno chiede da che parte sto, rispondo: dalla parte della mia coscienza.
Che non è né di destra né di sinistra, né comoda né redditizia. È soltanto mia.
E mi basta.

Io scrivo. Punto.
Il resto — partiti, fazioni, salotti, applausi — è rumore di fondo.

Luigi Palamara
Tutti i diritti riservati
Reggio Calabria 19 ottobre 2025

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