La Sanità dei furbi e la malattia dei deboli

La Sanità dei furbi e la malattia dei deboli

L'Editoriale di Luigi Palamara


In Calabria la sanità non cura più nessuno. Cura soltanto i portafogli — quelli dei consulenti, dei commissari, dei parassiti ben vestiti che si aggirano nei palazzi del potere come mosche sul miele. È una sanità che non salva, ma spolpa. Che non protegge, ma divora.

Nei corridoi degli ospedali, ormai, non si sente più l’odore del disinfettante, ma quello della rassegnazione. Ci sono vecchi che hanno costruito questa Repubblica mattone su mattone, e oggi vengono trattati come scarti d’officina: corpi stanchi abbandonati sulle barelle, in attesa di una visita che non arriva, di una diagnosi che nessuno ha il tempo — o l’interesse — di fare.

La salute non è più un diritto. È diventata un privilegio: con i soldi di tutti, per il beneficio di pochi. È il solito gioco italiano — quello dove chi lavora paga e chi comanda incassa.

Si marcia, senza pudore, verso una sanità privata che non integra ma annienta quella pubblica. E il paradosso è che la Costituzione, quella vecchia carta tanto citata e tanto ignorata, continua a dire che la salute è “un diritto fondamentale dell’individuo e interesse della collettività”. Ma a che serve scriverlo, se poi vale solo per chi può permetterselo?

Nel privato entra chi ha denaro, nel pubblico resta chi ha bisogno. Due Italie nella stessa corsia, due destini separati da un bancomat.
E intanto i politici — quelli che dovrebbero rappresentare il popolo sovrano — si voltano dall’altra parte. Parlano di riforme, di piani di risanamento, di “efficientamento”. Parole belle, vuote, come le sale d’attesa dei nostri ospedali.

Luigi Palamara
Tutti i diritti riservati
Reggio Calabria 13 ottobre 2025

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@luigi.palamara La Sanità dei furbi e la malattia dei deboli L'Editoriale di Luigi Palamara In Calabria la sanità non cura più nessuno. Cura soltanto i portafogli — quelli dei consulenti, dei commissari, dei parassiti ben vestiti che si aggirano nei palazzi del potere come mosche sul miele. È una sanità che non salva, ma spolpa. Che non protegge, ma divora. Nei corridoi degli ospedali, ormai, non si sente più l’odore del disinfettante, ma quello della rassegnazione. Ci sono vecchi che hanno costruito questa Repubblica mattone su mattone, e oggi vengono trattati come scarti d’officina: corpi stanchi abbandonati sulle barelle, in attesa di una visita che non arriva, di una diagnosi che nessuno ha il tempo — o l’interesse — di fare. La salute non è più un diritto. È diventata un privilegio: con i soldi di tutti, per il beneficio di pochi. È il solito gioco italiano — quello dove chi lavora paga e chi comanda incassa. Si marcia, senza pudore, verso una sanità privata che non integra ma annienta quella pubblica. E il paradosso è che la Costituzione, quella vecchia carta tanto citata e tanto ignorata, continua a dire che la salute è “un diritto fondamentale dell’individuo e interesse della collettività”. Ma a che serve scriverlo, se poi vale solo per chi può permetterselo? Nel privato entra chi ha denaro, nel pubblico resta chi ha bisogno. Due Italie nella stessa corsia, due destini separati da un bancomat. E intanto i politici — quelli che dovrebbero rappresentare il popolo sovrano — si voltano dall’altra parte. Parlano di riforme, di piani di risanamento, di “efficientamento”. Parole belle, vuote, come le sale d’attesa dei nostri ospedali. Luigi Palamara Tutti i diritti riservati Reggio Calabria 13 ottobre 2025 #sanità #calabria #reggiocalabria #editoriale #luigipalamara ♬ suono originale - Luigi Palamara

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