La vittoria nell’ombra. Si accettano scommesse

La vittoria nell’ombra. Si accettano scommesse

L’editoriale di Luigi Palamara


Roberto Occhiuto ha vinto. Di nuovo.
Si è dimesso da presidente della Regione Calabria, si è ricandidato, e gli elettori gli hanno rinnovato la fiducia. Tutto questo mentre su di lui pende un’inchiesta per corruzione.
Una storia italiana, verrebbe da dire: un leader politico che trasforma un avviso di garanzia in uno strumento di consenso.

Occhiuto ha scelto la via del rischio. Si è consegnato alle urne come a un tribunale popolare, chiedendo al voto di assolverlo prima ancora dei giudici.
Dal punto di vista politico è stata una mossa intelligente, perfino geniale. Ha capovolto la narrativa: da indagato a vittima, da sospettato a simbolo della Calabria che si sente sempre sotto accusa.
E gli elettori lo hanno premiato.

Ma il punto non è vincere. È come si vince.
In una democrazia matura, la distinzione tra consenso e innocenza dovrebbe essere chiara. Il voto serve a scegliere chi governa, non a giudicare chi è colpevole o innocente.
Quando invece un’elezione diventa un processo parallelo, qualcosa nel meccanismo democratico si incrina.

Occhiuto, certo, non è il primo. In Italia la politica è da anni un campo dove il principio di responsabilità cede il passo alla logica del consenso.
Eppure il caso calabrese ha qualcosa di più emblematico: mostra una società che non si fida più delle istituzioni, ma si riconosce ancora nel capo, nel volto, nella promessa personale.
La vittoria di Occhiuto è anche la sconfitta di una cultura civica che non riesce più a separare il politico dall’uomo, la fedeltà dal giudizio, la stima dalla fiducia cieca.

Nessuno, oggi, può dire se l’indagine su Occhiuto finirà in un’aula di tribunale o in un’archiviazione. Ma una cosa è certa: la sua vittoria non cancella le domande, le sospende.
E la Calabria – la terra che più di ogni altra conosce il peso dell’opacità – meriterebbe risposte prima degli applausi.

Eppure, nonostante tutto resti in bilico, Occhiuto sembra aver già dimenticato l’inchiesta.
Lo si vede nei cantieri, nei sopralluoghi, nei toni baldanzosi delle sue dichiarazioni pubbliche. Sfida l’opinione pubblica con la stessa naturalezza con cui sfida la magistratura, e lo fa con quella battuta ironica – “si accettano scommesse” – che finisce per diventare un riflesso simbolico della sua condizione.
Una sfida al destino, ma anche al dubbio.
Come se la politica fosse un tavolo da gioco e il potere la sua puntata più alta.

La storia, poi, farà il resto.
Perché la storia non conta i voti: pesa le scelte.
E deciderà se quella di Roberto Occhiuto sarà ricordata come una prova di coraggio o come l’ennesima illusione di un potere che si crede più forte della verità.

Luigi Palamara
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