L’educazione negata e la speranza possibile: la lezione del procuratore Roberto Di Palma

L’educazione negata e la speranza possibile: la lezione del procuratore Roberto Di Palma
di Luigi Palamara

Reggio Calabria 21 ottobre 2025 – «Una bambina di quattro anni che canta “Viva la ’Ndrangheta” davanti al nonno detenuto non è solo una scena inquietante, è una ferita profonda nella coscienza civile di un territorio».
Con queste parole, il procuratore presso il Tribunale per i Minorenni di Reggio Calabria, Roberto Di Palma, ha aperto il suo intervento durante un incontro pubblico dedicato ai temi dell’educazione e della legalità. Un racconto lucido, appassionato, che diventa atto d’accusa ma anche invito alla responsabilità collettiva.


Una scena che racconta tutto
Di Palma ricorda un episodio avvenuto durante un colloquio carcerario: un boss seduto da un lato del tavolo, dall’altro tre donne e una bambina di appena quattro anni. «A un certo punto – racconta – la piccola viene fatta salire sul tavolo. Inizia a cantare e ballare, e nel ritornello grida: “Viva la ’Ndrangheta!”».
Un gesto apparentemente ingenuo, ma che racchiude il cuore del problema: la trasmissione precoce dei valori mafiosi all’interno delle famiglie, dove il disvalore diventa normalità e l’appartenenza sostituisce l’identità.

«In quei contesti – spiega il magistrato – i bambini vengono educati alla logica della vendetta e della sopraffazione. A quattro anni hanno già imparato che la legge è un nemico, non una garanzia».


L’alternativa: educare alla libertà
Ma il Procuratore non si limita alla denuncia. Il suo è un discorso di ricostruzione civile e di speranza. «Ogni persona, in un momento della vita, può scegliere», sottolinea. Ed è su questa possibilità di scelta che si fonda il protocollo sperimentale avviato a Reggio Calabria nei primi anni Duemila, quando presidente del Tribunale era Luciano Gerardis.
Un progetto innovativo, poi divenuto protocollo interministeriale, che consente di allontanare i minori dai contesti familiari mafiosi, affidandoli a famiglie e comunità di altre regioni. «Non si tratta di punire – chiarisce Di Palma – ma di offrire a quei ragazzi una vita alternativa, una storia diversa».

Il trasferimento avviene solo in presenza di prove concrete, come intercettazioni o documenti giudiziari che dimostrino il coinvolgimento del nucleo familiare in attività criminali. «Non agiamo per pregiudizio – ribadisce – ma per protezione».

Dare una possibilità di scelta
Di Palma non nasconde le difficoltà di questo percorso. «Non tutti ce la fanno. Alcuni ragazzi, dopo anni di lontananza, tornano nelle famiglie d’origine e ricadono nel sistema. Ma a tutti abbiamo dato almeno una possibilità di scegliere. E questo, per me, è già una vittoria».
Oggi quel protocollo è applicato anche a Palermo, Catania e Napoli, e presto potrebbe diventare legge dello Stato. «Solo così – aggiunge – potrà avere stabilità, risorse e valore nazionale».


Famiglia e scuola: un patto spezzato
Il magistrato tocca poi un tema cruciale: la crisi del rapporto tra scuola e famiglia.
«Un tempo, se un ragazzo sbagliava, il genitore andava a parlare con il professore. Oggi, troppo spesso, è il contrario: i genitori accusano gli insegnanti. Così il patto educativo si spezza, e la criminalità trova terreno fertile».
Il giovane che non riceve modelli positivi, spiega Di Palma, cerca altrove riconoscimento e appartenenza. «La ’Ndrangheta offre ciò che la società non dà: protezione, denaro, identità. È lì che si inserisce».


Il compito di chi educa
L’appello del Procuratore è rivolto soprattutto agli insegnanti e agli operatori sociali. «Dobbiamo recuperare umanità. Chi lavora con i ragazzi deve avere mani pulite, ma anche cuore. Solo se un ragazzo si sente visto, riconosciuto, capito, può cambiare».
E aggiunge un ricordo personale: «Alle medie avevo un professore, Aldo Florenzano, che mi fece amare la matematica. Quel modello mi ha formato. Oggi dobbiamo tornare a essere per i nostri giovani quello che un buon maestro è stato per noi».


Memoria e memoriale
Nella parte conclusiva del suo intervento, Di Palma invita a una riflessione più ampia: «Ricordare un fatto è fare memoria. Ma renderlo vivo nella nostra storia di oggi significa fare memoriale».
E conclude: «Quando vi chiedete perché avete scelto di insegnare, cercate quel memoriale dentro di voi. È lì che troverete la forza di educare ancora».


Una speranza che passa dalle persone
Per il Procuratore, la legalità non è una parola astratta ma un’esperienza concreta di relazione e responsabilità. «Si possono costruire mille spazi giovanili – avverte – ma se dentro non c’è ascolto, se i ragazzi non si parlano tra loro, non serve a nulla. Prima viene l’uomo, poi lo spazio».
Con la sua voce ferma ma appassionata, Roberto Di Palma richiama tutti a un compito che riguarda l’intera società: educare al bene, restituire ai giovani la libertà di scegliere e di sognare.

Luigi Palamara 
Reggio Calabria 21 ottobre 2025

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