L’epoca delle stronzate felici
L'Editoriale di Luigi Palamara
Capisco: una battuta, oggi, vale più di un pensiero. È l’epoca del “mi piace”, non del “mi importa”. Si ride, si scrolla, si applaude la banalità come fosse oro colato. L’importante è restare nel coro, non stonare, non rischiare di dire qualcosa di vero — perché la verità, si sa, è antipatica, scomposta, e non fa ridere nessuno.
Così la gente si abitua. Legge, ingoia, digerisce le stronzate più incredibili con la stessa naturalezza con cui beve il caffè al mattino. È la dittatura della leggerezza: tutto deve essere lieve, istantaneo, superficiale. Chi tenta di rompere il ritmo, di alzare lo sguardo sopra la risata di gruppo, viene subito bollato come “presuntuoso”, “moralista”, o peggio ancora, “serio”.
E allora sì, provi a dire qualcosa di vero, magari a fare qualcosa di utile. Ti prendi pure il rischio, perché sai che dire la verità oggi è come attraversare una palude con le tasche piene di pietre. Ma non basta: arriva subito il branco, quello che non discute — sminuisce. Non contesta — dileggia. Non pensa — ride.
Eccoli, gli apostoli del nulla, uniti dalla paura di chi ragiona. Fanno gruppo, si incoraggiano, si compiacciono della propria mediocrità come di un merito. Bravissimi, davvero. Un applauso al vuoto.
Io, però, a questo gioco non ci sto. Non scrivo per intrattenere il gregge né per strappare consensi facili. Non mi interessa essere letto da chi confonde l’ironia con il disprezzo e la libertà di parola con il diritto di insultare.
Non vi ospiterò più nei miei spazi. Non perché mi offendiate — ma perché non vi rispetto. Il rispetto, come la verità, non si mendica: si guadagna.
E dunque, a non arrivederci.
Luigi Palamara
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