Piazza De Nava, la sera in cui Reggio ha ritrovato la sua voce

Piazza De Nava, la sera in cui Reggio ha ritrovato la sua voce
L'Editoriale di Luigi Palamara 
La piazza rinata
Ci sono date che diventano spartiacque nella storia politica di una città. Reggio Calabria, che ha conosciuto la rassegnazione, il dolore, la criminalità, la bancarotta, la speranza tradita mille volte, ha ritrovato la sua voce il 1 ottobre 2025. La voce di una piazza – Piazza De Nava, restituita al suo splendore dopo anni di abbandono – che si è trasformata in un mare umano di volti, applausi, emozioni.

Giuseppe Falcomatà, figlio di Italo, ha scelto quel luogo e quel momento non solo per chiudere la campagna elettorale, ma per consacrare una storia politica e familiare. Non è stato un comizio qualunque: è un testamento, una resa dei conti, una promessa.

Dodici anni di governo: un bilancio di sangue e fatica.
Falcomatà ha iniziato con un bilancio dei suoi dodici anni da sindaco. Dodici anni non ordinari: dodici anni in cui la città ereditata dal commissariamento per mafia era un relitto, sommersa da un debito di oltre 400 milioni, con servizi al collasso, con dipendenti comunali allo stremo.

Ha ricordato le lotte per il lavoro: la stabilizzazione dei precari, l’azzeramento degli LSU, i concorsi riaperti dopo venticinque anni. Ha parlato di Giovanni che cura i giardini urbani, di Anna finalmente stabilizzata dopo anni di umiliazioni, di centinaia di giovani diplomati e laureati che lavorano oggi nella pubblica amministrazione non per raccomandazioni, ma per merito.

Un passaggio netto, duro: “Non devono dire grazie a nessuno, se non a se stessi. Chi deve chiedere scusa sono coloro che potevano farlo prima e non l’hanno fatto.”
In una Calabria in cui il lavoro è spesso nero o precario, questo non è un dettaglio. È rivoluzione civile.

La Calabria che emigra.
Falcomatà ha dato voce a un dolore antico: i giovani che scappano. “In questa regione – ha detto – i genitori sono orfani dei figli.” Una frase che ha fatto vibrare la piazza. Perché descrive l’essenza del dramma meridionale: non solo l’emigrazione economica, ma lo sradicamento affettivo, la frattura di famiglie.

Ha denunciato la condizione dei calabresi costretti a chiedere prestiti in banca non per investire, ma per sopravvivere: pagare bollette, affitto, spesa. Un popolo impoverito fino all’umiliazione. Qui Falcomatà ha toccato corde forti, nude e crude, accusando la Regione e i governi di aver raccontato di una “Calabria straordinaria” che in realtà non esiste, se non nelle brochure elettorali.

I conti, la fatica, la dignità.
Un altro passaggio fondamentale: la scelta di non dichiarare il dissesto del Comune, nonostante fosse la via più facile. Dichiararlo avrebbe significato uccidere la città, cancellare i crediti delle imprese e degli artigiani che avevano lavorato per il Comune, mettere in ginocchio famiglie intere.

Falcomatà ha scelto la strada più dura: quella del piano di riequilibrio, della credibilità riconquistata, della dignità salvata. Oggi, ha detto con orgoglio, “un bambino che nasce a Reggio non eredita più il debito del Comune”.

Non è retorica. È la differenza tra un’amministrazione che sceglie la scorciatoia e una che paga fino all’ultimo il prezzo delle proprie responsabilità.

Le partecipate risanate: il simbolo del cambiamento.
Il comizio ha toccato il tema delle società partecipate, un tempo emblema del disastro.

Da Multiservizi è nata Castore, società sana, pubblica, che ha assunto 300 lavoratori.

Da Reges e Recasi è nata Hermes, senza licenziare nessuno.

L’ATAM, sommersa da debiti per oltre 30 milioni, è stata risanata e oggi è il fiore all’occhiello della mobilità, con 120 nuovi bus, 61 assunzioni, investimenti da 57 milioni.


I numeri sono il migliore manifesto elettorale, perché non mentono. E mi piace aggiungere: i numeri qui sono vite salvate dal baratro.

Nessuno escluso: welfare e dignità.
Il Falcomatà più umano è apparso quando ha parlato dei servizi sociali. Ha ricordato quando, anni fa, le famiglie dei disabili occupavano il Consiglio comunale perché mancavano i fondi per l’assistenza. Ha citato Don Italo Calabrò, guida morale di una città ferita, e ha rivendicato conquiste che oggi sembrano “normalità”:

asili nido comunali,

mense scolastiche,

scuolabus,

trasporto disabili,

centri diurni,

casa rifugio per donne vittime di violenza,

e soprattutto il “dopo di noi”, che garantisce futuro ai disabili rimasti senza famiglia.

Una civiltà che prima non esisteva.

La sanità calabrese: denuncia senza sconti.
Il comizio si è fatto grido d’accusa quando Falcomatà ha parlato della sanità. Ha ricordato gli ospedali degradati di Locri, Polistena, Palmi. Ha denunciato la desertificazione dei poliambulatori, le ambulanze senza medici, i familiari costretti a comprare siringhe negli ospedali pubblici.

Falcomatà lo ha fatto con parole che hanno colpito come colpi di martello: “Parliamo di questa Calabria straordinaria, dove purtroppo è ordinario morire di infezione in ospedale.”

Le opere pubbliche: una città che cambia volto.
Falcomatà ha poi elencato i numeri della trasformazione urbana: oltre 180 opere pubbliche realizzate o in corso, per un miliardo e mezzo di investimenti.

Museo del Mare,

Waterfront,

Parco Lineare Sud,

parchi urbani nei quartieri,

rigenerazione di piazze come Piazza Italia e Piazza Duomo,

sostituzione di 40mila punti luce.


Non promesse, ma cantieri. Non sogni, ma mattoni e cemento. Eppure, ha sottolineato, ancora oggi c’è chi critica i “tagli di nastro”. “Dietro ogni nastro – ha detto – ci sono professionisti, uffici, lavoratori.

La Città Metropolitana tradita.
Falcomatà ha puntato il dito contro la Regione Calabria, rea di aver sottratto oltre 315 milioni alla Città Metropolitana di Reggio per il mancato trasferimento delle funzioni. “Ci hanno rubato risorse che spettavano a scuole, strade, welfare, cultura.

Ha ricordato le parole sprezzanti di chi definì la Città Metropolitana “perle ai porci”. E con rabbia ha replicato: “In questa storia di porci non ci sono i cittadini. Ci sono solo i porci comodi che Occhiuto si è fatto sulle spalle dei calabresi.”

La lotta alla ‘ndrangheta.
Un altro passaggio dirompente: la lotta alla criminalità. “Noi siamo quelli che scalzi e senza scorta hanno chiuso le porte del Comune all’ndrangheta.” Non è un’immagine retorica: è la fotografia di un sindaco che ha sfidato la pressione criminale dopo lo scioglimento per mafia.

Cultura, pandemia, autonomia differenziata.
Falcomatà ha rivendicato i traguardi culturali: la candidatura a Capitale Italiana della Cultura, l’Opera dei Tre Soldi sulla copertina dei manuali di storia dell’arte. Ha ricordato la pandemia, affrontata con dignità e sacrificio. Ha denunciato il tradimento dell’autonomia differenziata, definendola un colpo mortale al Sud.

Il voto del 5 e 6 ottobre: una scelta di identità.
Il comizio si è chiuso in un crescendo emotivo. Falcomatà ha parlato del cambiamento personale vissuto in dodici anni da sindaco, dell’amore per la città che non cambierà mai. Ha citato il padre Italo: “Mio padre ha dato la vita per questa città, e io questo legame lo difenderò per sempre.”

E poi l’appello: “Il 5 e 6 ottobre votiamo per Reggio, votiamo per la nostra città, votiamo per il nostro futuro.”

Piazza De Nava 1 ottobre 2025 ore 19.10: la sera che resterà

La politica è fatta di uomini che decidono, non di alibi. E che chi ama davvero non tradisce mai.

Il comizio del 1 ottobre 2025 è stato entrambe le cose: un uomo che ha deciso di restare, e un popolo che ha deciso di credergli ancora.

Per questo, il 5 e 6 ottobre, votare Giuseppe Falcomatà non sarà un atto di appartenenza partitica, ma una scelta di identità collettiva, un atto d’amore per Reggio Calabria e per il Sud.

E questa sera, a Piazza De Nava, la città lo ha capito.

Il comizio di Giuseppe Falcomatà del 1 ottobre 2025 è già nella storia.

E allora, se davvero c’era ancora bisogno di una conferma, il comizio del 1 ottobre 2025 a Piazza De Nava l’ha data con potenza travolgente. Non solo a Reggio, non solo in Calabria: Giuseppe Falcomatà si è imposto come un leader riconosciuto, un patrimonio politico universale, capace di parlare alla città e al tempo stesso al Paese intero.

Perché i leader veri non appartengono solo a chi li ha visti crescere, ma diventano voce e speranza di un popolo più vasto. Falcomatà lo è diventato a pieno titolo. È la Calabria che resiste, che non arretra, che chiede dignità e lavoro. È l’Italia che non vuole dimenticare il Sud.

Piazza De Nava, questa sera, ha sancito non soltanto un comizio, ma un’investitura. Una comunità che si è riconosciuta nel suo volto, nella sua storia, nella sua voce. Una comunità che ha compreso che il tempo delle esitazioni è finito, che non si vota più per abitudine o per inerzia, ma per consapevolezza.

E adesso resta un ultimo passo. Un ultimo sforzo. Perché la vera sfida non è soltanto ricordare questa serata indimenticabile, ma tradurla in un risultato storico.

Il 5 e 6 ottobre, votare Giuseppe Falcomatà significa fare in modo che diventi il primo degli eletti alla Regione Calabria.
Un traguardo che non appartiene solo a lui, ma a tutta la città, a tutta la regione, a tutti noi.

Con la consapevolezza che non si vota un candidato, ma un destino. E che quel destino si chiama dignità, riscatto, futuro.

Luigi Palamara 
Tutti i diritti riservati 
Reggio Calabria 1 ottobre 2025
@luigi.palamara Comizio di Giuseppe Falcomatà Sindaco di Reggio Calabria e della Città Metropolitana Falcomatà a Piazza De Nava: il comizio che brucia Dodici anni al potere e un conto da presentare. Giuseppe Falcomatà sceglie la piazza, non i salotti. Rivendica ciò che ha fatto, attacca chi ha tradito. Tono da parroco e da gladiatore insieme. Ha evitato il dissesto di Reggio, stabilizzato i precari, dato concorsi ai giovani. “Non dovete ringraziare nessuno, se non voi stessi”. Ma qualcuno – dice – deve chiedere scusa: la vecchia politica che vi teneva in ostaggio. Contro la Regione, l’affondo più duro: 315 milioni rubati alla città metropolitana. “Ci hanno chiamati porci. I porci veri sono quelli che hanno fatto i porci comodi sulle spalle dei calabresi”. Linguaggio crudo, quasi violento, ma la piazza applaude. Il Ponte sullo Stretto diventa simbolo di inganno: soldi del Sud per un’opera fantasma, mentre strade e ferrovie restano all’età della pietra. Poi il passaggio più intimo: “Mio padre ha dato la vita per questa città. Noi non scappiamo”. Qui Falcomatà non parla da sindaco: parla da figlio. Conclusione: grida amore e rabbia. “Votate per Reggio, votate per la dignità”. È il copione antico della politica meridionale: la città come sposa tradita, e il sindaco come marito fedele. La domanda, oggi come ieri, resta la stessa: quante volte ancora Reggio sarà tradita? E qui, al di là delle simpatie o delle antipatie, occorre riconoscere un fatto: la famiglia Falcomatà è diventata, nel bene e nel male, un patrimonio civile di questa città. Prima Italo, che ha lasciato la vita per Reggio. Oggi Giuseppe, che ne porta il nome e il peso. Sempre e per sempre dalla stessa parte. Il 5 e 6 ottobre i calabresi sono chiamati a scegliere. E in quella cabina non si tratterà di votare un uomo solo, ma di decidere se consegnare Reggio e la Calabria a chi l’ha tradita o a chi, con tutti i limiti, ha avuto il coraggio di restare. Luigi Palamara Tutti i diritti riservati Reggio Calabria 1 ottobre 2025 Piazza De Nava #comizio #giuseppefalcomatà #reggiocalabria #calabria #piazzadenava ♬ suono originale - Luigi Palamara

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