Roccaforte del Greco: il silenzio dei numeri primi.

Roccaforte del Greco: il silenzio dei numeri primi.

L'Editoriale di Luigi Palamara


Roccaforte del Greco è un paese aggrappato alle viscere dell’Aspromonte come un pensiero ostinato. Un paese che non urla, non reclama, non seduce. Resta. Resta come restano le pietre, come restano le madri davanti alle case vuote. Resta nella memoria di chi torna e si ritrova straniero.
Ritrovare un luogo dopo decenni è come rivedere un vecchio amico: riconosci il volto, ma non più lo sguardo. Le strade sono le stesse, ma hanno perso il passo della vita. Ogni muro conserva una voce, ma la voce non risponde più.

I paesi come Roccaforte non muoiono: si spengono lentamente, come le lampade a petrolio, finché qualcuno non decide di rientrare per rianimarle con un fiato di memoria. Non si può vivere di nostalgia, tornare non basta, la patria non è dove sei nato ma dove ti senti utile. E il vento, con la sua malinconia limpida sussurra che “la solitudine è la vera condizione del Sud”, quella solitudine che diventa abitudine, quasi conforto, finché non ci si accorge che non consola più.

In questo paese — come in tanti altri del nostro Mezzogiorno — regna una solitudine sovrana. Una solitudine che non è solo fisica, ma spirituale: l’assenza di prospettiva, la mancanza di ascolto, la paura del cambiamento. È la solitudine dei numeri primi, come li chiama chi scrive: quegli spiriti liberi, inquieti, diversi, che non trovano mai un divisore a cui appartenere. I talenti che restano in sospeso, i ragazzi che sognano e si consumano, le menti che vorrebbero costruire e invece si spengono in silenzio, senza neppure un testimone.

Ci sono paesi che ti crescono addosso come un destino, e poi ti abbandonano come un rimorso. Eppure, chi ci torna lo fa per un richiamo più forte della ragione: il bisogno di ritrovare le proprie radici, anche se ormai sono secche.
Roccaforte è questo: una ferita che ancora sanguina, ma di un sangue antico e dignitoso. Le sue viuzze odorano di rosmarino e di assenza, i suoi vicoli di voci che non ci sono più. E tra quelle voci, chi torna sente ancora il padre, la madre, gli amici perduti: ombre che non se ne vanno, custodi di una felicità che oggi sembra un’eresia.

La verità è che i paesi come Roccaforte non hanno perso solo i giovani: hanno perso l’abitudine alla speranza. E senza speranza, anche il sole dell’Aspromonte si fa ombra.
Ma basterebbe poco — un gesto, una idea, un atto di coraggio — per rimettere in moto la vita. Perché la vita, anche quando si nasconde, resta lì: come brace sotto la cenere, pronta a riaccendersi al primo soffio.

Forse la vera sfida non è andarsene, ma restare. Restare per cambiare. Restare per rompere la monotonia, per dire no alla rassegnazione. Restare per dare voce ai numeri primi, che non si dividono, ma moltiplicano il senso di ciò che siamo.

E allora sì: Roccaforte del Greco non è solo un luogo. È un simbolo. È il ritratto di un’Italia che resiste in silenzio, che si consuma nel pudore e nella nostalgia, ma che non smette — testardamente, ostinatamente — di credere che la vita, anche nella solitudine, possa ancora tornare a parlare.
Ma questo è  un sogno che vi racconterò un'altra volta.

Luigi Palamara
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Roccaforte del Greco

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