Rrgione Calabria. Tempo di scelte (e di silenzi)
L'Editoriale di Luigi Palamara
Catanzaro attende, ancora una volta, che il rito della proclamazione faccia scattare l’orologio della politica. Roberto Occhiuto, governatore rieletto, si prepara a rientrare nel pieno delle sue funzioni: la Corte d’Appello dovrà solo mettere un timbro, un sigillo su una storia che, in Calabria, ha il sapore antico della continuità travestita da novità.
Dieci giorni, recita lo Statuto, per nominare assessori e varare la nuova Giunta. Dieci giorni che dovrebbero servire a rimettere in moto una macchina amministrativa ferma da mesi. Eppure, più che la macchina, sembra fermo il tempo. Lo stesso copione si ripete: nuovi nomi, vecchie logiche.
Occhiuto promette discontinuità, annuncia rivoluzione, minaccia riorganizzazioni e riforme. Nuovi dipartimenti, nuovi manager, nuovi assetti. Ma in Calabria — come in tutta la politica italiana — la parola “nuovo” ha perso da tempo il suo significato. Ogni rivoluzione comincia con proclami e finisce con una stretta di mano tra i soliti noti.
Eppure questa volta c’è un’ombra che aleggia, un dettaglio che tutti fingono di non vedere: l’avviso di garanzia per corruzione che pende sulle spalle del governatore. Un macigno giudiziario che, in qualsiasi paese serio, basterebbe a congelare ogni decisione politica.
Ma qui no. Qui tutto scorre come se nulla fosse.
È straordinario — e al tempo stesso desolante — osservare come la politica italiana riesca sempre a convivere con il proprio scandalo. Si cambia tono, si aggiusta la cravatta, si cita la presunzione d’innocenza, e via: il problema è archiviato nel cassetto della coscienza collettiva.
Occhiuto non è ancora stato condannato, certo. Ma il punto non è giuridico: è morale. La questione vera è il silenzio che circonda tutto questo, il torpore generale di una classe politica e di un’opinione pubblica ormai anestetizzate. Nessuno sembra preoccuparsi. Si va avanti come se quell’avviso di garanzia fosse un semplice contrattempo, un fastidio da archiviare tra una nomina e un comunicato stampa.
E mentre i partiti negoziano assessorati e vicepresidenze, mentre si discute se alla Lega toccherà di nuovo la presidenza del Consiglio regionale e se Fratelli d’Italia avrà la poltrona più comoda, nessuno si chiede che senso abbia tutto questo se il vertice stesso della Regione è sotto inchiesta.
Mi viene in mente una frase “la politica italiana è come una zattera che galleggia sull’immondizia ma non affonda mai. E ci siamo abituati alla puzza”.
Il potere, in Calabria come altrove, sembra immune dalle proprie ferite. Non prova vergogna, non conosce pudore. Si autorigenera, si assolve, si accarezza nello specchio del consenso. E intanto la fiducia dei cittadini evapora, lenta ma inesorabile.
A forza di fingere che nulla accada, si finisce per credere davvero che nulla accada. Ma la realtà, prima o poi, presenta il conto. E quando lo farà, non basteranno i dieci giorni previsti dallo Statuto per riparare ciò che si è scelto di ignorare per anni.
Luigi Palamara
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Reggio Calabria 20 ottobre 2025
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