La menzogna dell’imparzialità
Editoriale di Luigi Palamara
Il giornalista imparziale è una chimera da manuale universitario. Un’astrazione da scuola di giornalismo dove si insegna l’utopia come fosse tecnica.
Un giornalista non è mai obiettivo in politica. Mai lo è stato, mai lo sarà. Perché è prima di tutto un uomo. E l’uomo, quando ragiona, giudica. Quando scrive, prende posizione.
Chi afferma il contrario mente. O, peggio, non ha ancora capito di essere schierato.
Ma attenzione. L’obiettività non si pretende sulla politica. Si pretende – e si esige – sulla notizia.
Qui sì, non si scherza.
Sulla notizia non si bara. Non si trucca. Non si colora. Non si insinua. La notizia si verifica, si mette in ordine, si separa dai commenti come si separa il corpo dall’abito.
È su quella rigida, asciutta, che si costruisce la credibilità. Non sull’apparenza di neutralità.
Io ho sempre detto che non sono imparziale. Mai voluto esserlo. Sarebbe un tradimento della mia intelligenza. Delle mie emozioni. Delle mie battaglie.
Chi si dichiara neutro, spesso lo fa per codardia. O per compiacere il potere di turno.
Io non ho mai voluto piacere. Ho voluto dire la verità, la mia verità, e questo mi è bastato.
Ma la credibilità, quella sì, è sacra. E non si compra.
Te la guadagni sul campo. A costo di perdere amici, incarichi, poltrone e prebende.
A costo di essere solo. E sputato in faccia.
Essere credibili significa essere liberi. Liberi dalle marchette, dalle direzioni editoriali col guinzaglio, dai partiti travestiti da giornali.
Io ho sempre preferito dire no a un posto fisso piuttosto che dire sì a una bugia.
E allora non venitemi a parlare di imparzialità. Perché non esiste.
L’unica cosa che esiste, e che conta, è la fiducia che il lettore ripone in te.
La fiducia che non lo prenderai in giro. Che non venderai la tua penna. Che non cambierai idea solo perché è cambiato il vento.
Non cerchiamo giustificazioni. Nemmeno per noi stessi.
Perché essere giornalisti non significa essere perfetti.
Significa essere onesti.
E se proprio dobbiamo sbagliare, che almeno sia per eccesso di passione, non per mancanza di coraggio.
Ecco la differenza. Non l’imparzialità. Ma la credibilità. Quella non si insegna. Si vive.
Luigi Palamara
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