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L’illusione del comando e la vendetta del voto: quando il popolo punisce l’arroganza

L’illusione del comando e la vendetta del voto: quando il popolo punisce l’arroganza

Editoriale di Luigi Palamara


C’è una malattia antica che percorre i corridoi della politica, dai municipi più sperduti fino ai palazzi romani: la sindrome del “me la vedo io”. È una patologia sottile, spesso mascherata da sicurezza, ma che cela arroganza, isolamento e una malcelata paura del confronto. Chi si circonda di fedelissimi, di truppe cammellate pronte a tutto tranne che al dissenso, si illude di essere invincibile. Ma la storia — e soprattutto il voto — presentano sempre il conto.

Nel cuore dell’Italia, da Longarone a Scilla, il popolo si prende le sue rivincite. E non lo fa con urla o rivoluzioni: lo fa con una matita dentro una cabina. Quella matita, sottile come uno spillo, può bucare l’ego più gonfio. Perché in democrazia la forza apparente può diventare debolezza, e il più piccolo dei candidati può rovesciare l’apparato. È il trionfo della vendetta dolce, quella del “vi abbiamo battuti”. E la gente gode, eccome se gode.

I risultati locali lo dimostrano: dopo l’ubriacatura del centrodestra, la marea si ritira. E ciò che resta non è potere, ma sabbia. Sabbia che scivola via, che si infila sotto le carriere costruite in fretta, tra un selfie e un comizio. Il consenso è un istante. Un battito. Un sospiro che può diventare sospiro di rimpianto.

Non esistono più figure di statura. I leader si sono fatti piccoli, portati a spasso su un treno dove non guidano, ma vengono guidati. E basta una fermata sbagliata per perdere l’appuntamento col futuro.

Il paese, alla fine, è dei paesani. Dei volti che si conoscono, delle mani che si stringono, delle storie che si intrecciano nei bar e nei mercati. Non dei Ministri che arrivano in elicottero. Le forzature, in politica, puzzano di disperazione. E spesso falliscono.

Ora, tra vincitori e vinti, non resta che il silenzio del dopo. Un tramonto che inghiotte polemiche, promesse e proclami. Chi saprà ascoltare, forse domani potrà ancora parlare. Gli altri saranno solo nomi dimenticati sotto la polvere di un’urna.

Luigi Palamara

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