Reggio Calabria e l’eterno dopoguerra: in cerca di un sindaco, trova solo sedicenti candidati.
Editoriale di Luigi Palamara
Un gioco d’ombre si ripete, ciclico e immutabile, a ogni stagione elettorale in riva allo Stretto. Si chiama “Dopo Falcomatà”, ma è più simile a una veglia funebre che a un’alba politica. E come in ogni rito funebre che si rispetti, ognuno porta la sua corona e recita il suo elogio. Chi con la voce tremante dell’impegno civico, chi con il tono rauco del potere antico, mai davvero scomparso.
Tutti parlano, tutti propongono. Si sussurrano nomi nei corridoi, si affacciano volti in televisione – spesso la propria –, si vergano comunicati in un italiano sfinito. Ma il cuore della città batte altrove. E batte forte, anzi si sfianca, nei meccanismi delle liste.
A Reggio non vincono le idee, né i programmi, né tantomeno i candidati. Vincono le liste: i pacchetti di voti, le promesse intrecciate nei bar e nei retrobottega, le strette di mano che odorano di famiglia, non di politica. Chi sa fare le liste vince. Punto.
Il nome del sindaco? Un dettaglio. Importante, sì, ma sempre una mano di vernice sopra un muro che nessuno ha il coraggio di abbattere.
L’ultima volta toccò a Nino Minicuci il ruolo dello “straniero”. Non un forestiero qualunque, ma un melitese. Un anatema sufficiente per l’ostracismo, a dispetto di un curriculum che altrove lo avrebbe condotto almeno in Parlamento. Ma a Reggio no. A Reggio la geografia politica si scrive con l’inchiostro delle parentele e le mappe dei quartieri. Poi, come se non bastasse, su Minicuci pesò l’ombra della Lega. Pur non essendone mai stato realmente parte, fu marchiato come tale. E qui, da queste parti, votare Lega è come servire polenta col pesce stocco: un’eresia gastronomica prima ancora che politica.
E adesso? Adesso ballano. Ballano i nomi, ballano le facce, ballano le ambizioni. Il primo ballerino? Eduardo Lamberti Castronuovo. Un uomo che si è costruito un Polo Civico a propria immagine e somiglianza, completo di emittente televisiva da cui si trasmette ogni giorno. Un uomo solo, sì. Ma non per coraggio: per ego. Uno che cambia pelle a seconda della convenienza: ieri a destra, oggi civico, domani chissà. Un camaleonte del potere che si vende per illuminato. Ma la gente, anche quando tace, osserva. E capisce. Il civico che civico non è. Il cinico che si traveste da idealista. E la città – giustamente – non ci crede.
Poi c’è Anna Nucera. “Dolce e preparata”, dicono. Ma la dolcezza, in politica, non è una virtù. È una zavorra. E la preparazione, se non è accompagnata da muscoli e voti, resta un esercizio di stile. Reggio è pronta per una donna? Forse sì. Ma non per questa. Non ora.
E mentre i candidati civici si agitano, le due vecchie balene – centrodestra e centrosinistra – nuotano lente ma sicure. Si annusano, si studiano, si riorganizzano. Il centrodestra ha le carte, ma le gioca malissimo. Ruggine e supponenza. Ancora una volta rischia di perdere prima di cominciare. E Francesco Cannizzaro, leader riconosciuto, lo sa bene. Il tempo stringe. Tocca "quagliare", come si dice dalle nostre parti. E in fretta.
Il centrosinistra, invece, si gode il dividendo politico dell’era Falcomatà. All’inizio fu percezione, adesso è sostanza. Giuseppe Falcomatà resta oggi l’unico nome capace di tenere insieme consenso e macchina organizzativa. Con quasi un anno davanti, può lanciare la volata. Sereni, rodati, pronti a riproporre l’usato sicuro. Costante, metodico e affidabile. Alcune volte non entusiasmante, ma ordinato e soprattutto 'Istituzionale'. E a volte basta questo, per vincere.
I nomi? Lasciamoli per domani. Troppi, confusi, volatili. La politica, quella vera, è anche silenzio. È attesa. È capacità di restare immobili mentre gli altri si agitano. È una partita a scacchi a tempo lungo, dove ogni mossa costa settimane e ogni alleanza sa di vendetta o di perdono.
Reggio aspetta. Come sempre. Col fiato sospeso, ma con la mente lucida. Non si fida più di nessuno. Forse è questa la sua vera condanna. Ma forse anche la sua ultima speranza.
Luigi Palamara
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