SALVINI-OPEN Arms. RICORSO PER SALTUM. SI VA A GIUDIZIO DELLA CORTE SUPREMA.
Giustizia, confini e memoria corta
Editoriale di Luigi Palamara
A Palermo, un’aula di giustizia ha assolto Matteo Salvini: "il fatto non sussiste", ha sentenziato il Tribunale. Eppure, la giustizia non dorme. O meglio: non dimentica. La Procura non si rassegna, impugna quella sentenza con un "ricorso per saltum" che salta l’appello e punta dritto alla Corte di Cassazione. Una mossa inedita, certo, ma perfettamente legittima. E come tale, merita rispetto. Anche quando infastidisce, anche quando disturba la narrativa vincente.
Surreale? No. Democratico.
Giorgia Meloni parla di "surreale accanimento". Salvini si dichiara "non preoccupato". E il ministro Piantedosi, con nobile lealtà d’ufficio, si proclama moralmente imputabile pure lui. La politica si stringe attorno al suo uomo. Il cerchio si chiude, e l’indignazione si consuma sui social. Ma indignarsi per una Procura che fa il suo mestiere è, questo sì, surreale.
Viviamo in un Paese dove si pretende che i magistrati lascino stare gli uomini di governo. Soprattutto se populisti, se amati, se votati. Ma la giustizia – quando è degna di questo nome – non chiede tessere elettorali né tiene conto dei sondaggi. Il ricorso non è un atto di guerra. È un atto di legge. Si può discuterlo, si può non condividerlo, ma bollarlo come “persecuzione” significa travisare le fondamenta di una democrazia.
E allora di cosa parliamo, davvero?
Di confini? Di migranti? Di sovranità? Parliamone, allora. Ma con onestà. Nell’agosto del 2019, 147 esseri umani – naufraghi, non clandestini – rimasero per giorni in mare, soccorsi da una nave spagnola. Un ministro dell’Interno, esercitando il potere politico che gli era affidato, negò loro il porto. Oggi la giustizia cerca di capire se quel potere fu esercitato nel perimetro della legge o ne travalicò i confini. E questa non è una questione di destra o sinistra. È una questione di diritto. E di civiltà.
Oscar Camps, fondatore della Open Arms, ricorda che i fatti sono stati “ampiamente ricostruiti”. Nessuno ha mai negato che la scelta fu politica. Ma una scelta politica non è automaticamente innocente. Il diritto internazionale non è un optional. E lo Stato di diritto, quello vero, non conosce immunità per appartenenza partitica.
Il punto, signori, è un altro.
In Italia, ogni processo che tocca un potente diventa un referendum. La magistratura diventa “rossa”, la sentenza “politica”, il magistrato “militante”. Ma nessuno si chiede mai dove sia finita la memoria. Quella memoria che ci ricorda che le leggi valgono anche – e soprattutto – per chi comanda. Che la solidarietà non è un crimine. E che il dolore degli ultimi non è un dettaglio da archiviare.
Nel Paese di oggi, chi salva vite è sotto inchiesta. Chi le blocca, è in Parlamento. Ognuno tragga le sue conclusioni. Ma che almeno sia chiaro: non è la giustizia ad accanirsi. È la politica, troppo spesso, a scappare.
Luigi Palamara
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