Calabria, il teatro delle meraviglie al contrario.
Il delirio politico di Roberto Occhiuto
L'Editoriale di Luigi Palamara
C’è chi parla di politica come di una carriera. Una professione da coltivare, una vetrina da esibire. Si dimentica che dovrebbe essere un servizio temporaneo, una parentesi di responsabilità civile e non un mestiere a vita. Eppure, nei palazzi del potere, la memoria è corta e la coscienza ancora di più.
Si parla di “eletti” e addirittura di “rappresentanti del popolo”, ma quel popolo non va neppure a votare. Meno del cinquanta per cento. È un divorzio consumato: da un lato una classe politica che recita e si autocelebra, dall’altro una società che non crede più a nulla e a nessuno.
Parliamo di etica. Ma l’etica, in Italia, è un termine da convegno, un’etichetta svuotata, un orpello buono per i discorsi ufficiali. La giustizia? Arriva a orologeria. Come se il diritto potesse piegarsi a un calendario politico, come se la legge fosse un attrezzo da officina: da tirare fuori quando conviene, da riporre quando intralcia.
E intanto, i soldi. Sempre i soldi. Quelli che a parole dovrebbero servire la collettività, ma che finiscono regolarmente nelle tasche del cerchio magico di turno. La Calabria, su questo, è laboratorio e specchio: la sanità è inefficiente, scadente, quasi inutile. Se non hai denaro, non ti curi. Andare al pronto soccorso significa sfidare la morte, più che la malattia. Ambulanze poche, vecchie, senza medici a bordo: giocattoli rotti mandati al fronte. L’esperimento dei medici cubani? Un flop che tutti, tranne chi lo ha promosso, sapevano già scritto.
E poi i trasporti. Fiumi di milioni pubblici che scorrono senza mai diventare un servizio reale, mentre strade e ferrovie restano ferite aperte. Le campagne abbandonate, gli incendi che divorano boschi e colline: il paesaggio ridotto a cenere, l’inerzia elevata a sistema.
Eppure in Regione Calabria, sotto la presidenza di Roberto Occhiuto, incarichi e denari fioccano. Fioccano soprattutto sulla comunicazione social, centinaia di migliaia di euro spesi ogni anno per costruire un’immagine patinata, un racconto da fiaba. Ma basterebbe scoperchiare il vaso per scorgere l’universo di galassie di incarichi strapagati che ruotano intorno a lui e poi ricordiamoci anche di suo fratello Mario, il senatore.
Ascoltandoli parlare, sembrano i migliori dei migliori. Ma la storia — la loro storia — racconta altro. Non ci abbiamo mai creduto, non ci crederemo mai. Perché i “quattro anni migliori” di Occhiuto sono stati, forse, i migliori solo per lui. E per i suoi.
Il resto della Calabria resta al buio, con l’odore acre di ospedali senza cure e di boschi in fiamme.
E allora, alla fine, resta una sola certezza: in politica si può ingannare per un po’, non per sempre. Si può mascherare il fallimento con conferenze stampa, slogan e milioni bruciati in comunicazione. Ma alla fine resta la realtà: ospedali vuoti, ambulanze senza medici, incendi che divorano colline e un popolo che non vota più perché non crede più.
E quando un popolo smette di credere, signori miei, non servono più né fiabe né presidenti. Servirebbe solo silenzio.
Luigi Palamara Tutti I diritti riservati Reggio Calabria 25 agosto 2025
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