Il paese che si spegne dentro.
E l'ultimo chiuda la porta ...
L'Editoriale di Luigi Palamara
I piccoli paesi non muoiono perché le pietre cadono o i tetti crollano. Muoiono perché dentro gli uomini si è spento il fuoco. Non hanno più l’orgoglio che li teneva ritti anche davanti alla miseria. Hanno smarrito la dignità di appartenere a un luogo che non è solo terra, ma radice.
Si preferisce ciò che viene da fuori, come se il vicino fosse sempre migliore del fratello. E allora i figli migliori – i più curiosi, i più inquieti, quelli che cercano respiro – vengono respinti, guardati con sospetto. Finiscono per partire. Restano i mediocri, i più duri non perché coraggiosi, ma perché incapaci di sopportare il talento altrui. I peggiori si impongono, e dominano col veleno dell’invidia.
Così i paesi si svuotano non solo di voci, ma di futuro. E quel che resta è una solitudine brutta, amara. Una caricatura di comunità. Una sopravvivenza senza senso.
Non era questa l’anima dei nostri luoghi, nati dal sudore e dal sacrificio, piegati dalla natura ostile eppure capaci di farne poesia. L’Aspromonte, che era ruvido e feroce, sapeva anche custodire il cuore. Oggi resta una scenografia senza attori, un teatro di memorie.
E i paesi, come gli uomini, non muoiono mai di colpo. Muoiono quando smettono di vergognarsi.
Luigi Palamara Tutti i diritti riservati Reggio Calabria 16 agosto 2025
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