Marsiglia, la rissa da bar e la lezione di De Zerbi
L'Editoriale di Luigi Palamara
Che spettacolo miserabile: due calciatori professionisti, strapagati e idolatrati, che si riducono a menare le mani nello spogliatoio come teppisti da osteria. Rabiot e Rowe, invece di mostrare attributi in campo, li hanno mostrati sui pugni. Non per difendere i colori del Marsiglia, ma per insultarli.
E allora sì, ha ragione De Zerbi quando dice che il club viene prima di tutti. Prima dei giocatori, prima perfino dell’allenatore. Perché il calcio non è un ring, non è un circo di vanitosi. È un mestiere, un lavoro, un impegno che si deve al pubblico e a una maglia. E se due professionisti dimenticano questo, la società ha solo due scelte: sospenderli o mandarli via.
In Italia avremmo fatto diversamente: avremmo imbastito tavoli di riconciliazione, pacche sulle spalle, “chiedetevi scusa ragazzi, pensiamo al campionato”. Risultato: dignità zero, spogliatoio in frantumi, tifosi presi per i fondelli. De Zerbi invece ha fatto il contrario. Ha detto: “No, non cedo. Perché la dignità non la perdo neanche per un campionato intero”.
E qui c’è la lezione. Non sul calcio, ma sulla vita. La disciplina non è una parola da caserma, è la condizione minima per stare in gruppo. Chi non la capisce, non deve essere compatito, ma messo alla porta.
Si potrà discutere sul carattere di De Zerbi, sul suo modo di comunicare, sul suo essere diretto fino all’eccesso. Ma almeno è coerente. Difende il club, difende l’ordine, difende la dignità sua e della squadra. Non si è piegato al ricatto del talento né al piagnisteo delle famiglie che, come nel caso della madre di Rabiot, non accettano che il figlio possa pagare le conseguenze delle proprie azioni.
E allora sì: è stata una rissa da bar. Ma c’è un abisso tra il bar e lo spogliatoio di un club professionistico. In uno si ride e ci si dimentica, nell’altro si gioca la credibilità di una squadra intera.
La verità è semplice, quasi banale: nel calcio — come nella politica, come nella vita — nessuno è più grande della squadra. E chi pensa il contrario non solo è pericoloso, è ridicolo.
Perciò, onore a De Zerbi. Ha scelto la strada più difficile: perdere forse delle partite, ma non perdere la dignità. E in tempi in cui la dignità vale meno di una scarpata sugli stinchi, è già una vittoria.
Luigi Palamara Tutti i diritti riservati Reggio Calabria 23 agosto 2025
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@luigi.palamara Marsiglia, la rissa da bar e la lezione di De Zerbi L'Editoriale di Luigi Palamara Che spettacolo miserabile: due calciatori professionisti, strapagati e idolatrati, che si riducono a menare le mani nello spogliatoio come teppisti da osteria. Rabiot e Rowe, invece di mostrare attributi in campo, li hanno mostrati sui pugni. Non per difendere i colori del Marsiglia, ma per insultarli. E allora sì, ha ragione De Zerbi quando dice che il club viene prima di tutti. Prima dei giocatori, prima perfino dell’allenatore. Perché il calcio non è un ring, non è un circo di vanitosi. È un mestiere, un lavoro, un impegno che si deve al pubblico e a una maglia. E se due professionisti dimenticano questo, la società ha solo due scelte: sospenderli o mandarli via. In Italia avremmo fatto diversamente: avremmo imbastito tavoli di riconciliazione, pacche sulle spalle, “chiedetevi scusa ragazzi, pensiamo al campionato”. Risultato: dignità zero, spogliatoio in frantumi, tifosi presi per i fondelli. De Zerbi invece ha fatto il contrario. Ha detto: “No, non cedo. Perché la dignità non la perdo neanche per un campionato intero”. E qui c’è la lezione. Non sul calcio, ma sulla vita. La disciplina non è una parola da caserma, è la condizione minima per stare in gruppo. Chi non la capisce, non deve essere compatito, ma messo alla porta. Si potrà discutere sul carattere di De Zerbi, sul suo modo di comunicare, sul suo essere diretto fino all’eccesso. Ma almeno è coerente. Difende il club, difende l’ordine, difende la dignità sua e della squadra. Non si è piegato al ricatto del talento né al piagnisteo delle famiglie che, come nel caso della madre di Rabiot, non accettano che il figlio possa pagare le conseguenze delle proprie azioni. E allora sì: è stata una rissa da bar. Ma c’è un abisso tra il bar e lo spogliatoio di un club professionistico. In uno si ride e ci si dimentica, nell’altro si gioca la credibilità di una squadra intera. La verità è semplice, quasi banale: nel calcio — come nella politica, come nella vita — nessuno è più grande della squadra. E chi pensa il contrario non solo è pericoloso, è ridicolo. Perciò, onore a De Zerbi. Ha scelto la strada più difficile: perdere forse delle partite, ma non perdere la dignità. E in tempi in cui la dignità vale meno di una scarpata sugli stinchi, è già una vittoria. Luigi Palamara Tutti i diritti riservati Reggio Calabria 23 agosto 2025 #rissa #rabiot #rowe #dezerbi #marsiglia ♬ suono originale - Luigi Palamara
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