Presunzione d’innocenza? Sì, ma non per la poltrona
L'Editoriale di Luigi Palamara
Il principio di presunzione di innocenza vale per tutti. Per il ladro, per l’operaio, per il banchiere, per il politico. È il fondamento stesso della civiltà giuridica. Assolutamente sì.
Ma confondere la giustizia con la politica è l’inganno più vecchio del nostro Paese. Perché la giustizia può permettersi i suoi tempi infiniti, i suoi gradi di giudizio, i suoi cavilli. La politica no. La politica non è mestiere, non è carriera, non è una rendita vitalizia: è — o dovrebbe essere — un servizio temporaneo.
E allora al minimo dubbio, al semplice avviso di garanzia, dovrebbe scattare un problema etico. E invece non scatta nulla. Scatta solo la colla. Quella che incolla il fondoschiena alla poltrona. E più la colpa è grave, più forte diventa l’adesivo.
“Che importa — dicono — se poi, tra dieci anni, risulto innocente?”
Importa. Eccome se importa. Perché nel frattempo la fiducia del cittadino è stata tradita, la politica ridotta a mercato delle vacche, la democrazia trasformata in recita di comparse. La democrazia non muore se cade un politico. Continua. Sempre. E il popolo continua a scegliere.
Se un giorno l’inquisito sarà assolto, bene per lui. Stappi pure lo champagne. Ma non facciamone un martire. I martiri veri sono altri: cittadini comuni triturati da processi senza fine, inghiottiti da ingranaggi ciechi, e dimenticati da tutti.
Il problema non è solo l’indagato che resta o che se ne va. È la giustizia con i suoi tempi biblici, i suoi riti, i suoi errori. Ma la politica non può aspettare la Cassazione. La politica ha una sola stella polare: l’etica. E quando questa manca, non servono tribunali. Basta uno specchio.
E lì, davanti allo specchio, non c’è presunzione che tenga. Non c’è innocenza che regga. Ci sono solo uomini e donne attaccati a un potere che non appartiene a loro, ma al popolo.
E davanti al popolo, colpevoli lo sono sempre.
Luigi Palamara Tutti i diritti riservati Reggio Calabria 23 agosto 2025
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