Polsi, il pellegrinaggio interrotto dopo quattro secoli. Il santuario chiuso: quando si recidono le radici
Polsi, il pellegrinaggio interrotto dopo quattro secoli
Il santuario chiuso: quando si recidono le radici
L'Editoriale di Luigi Palamara
Dopo quattrocento anni, la Madonna di Polsi non vedrà più i suoi pellegrini. Le strade franate, la chiesa in restauro, la sicurezza assente: tutto vero. Ma il vero disastro non è della montagna, che resta paziente, né della Madonna, che non fugge. Il disastro siamo noi, gli uomini che hanno lasciato marcire un luogo sacro, che hanno confuso la negligenza con la prudenza, e che hanno reciso le radici senza nemmeno accorgersene.
“Chi dimentica le radici, si accontenta di guardare i rami degli altri.”
Polsi non è pietra, né sola fede. È sangue, memoria, identità. È l’albero che tiene insieme un popolo e lo nutre di speranza. Tagliarne le radici significa condannare a morte chi l’ha piantato e chi lo custodisce. Non servono leggi, non servono decreti. Serve coscienza. Ma in Calabria si preferisce l’inerzia, il compromesso, l’ipocrisia della sicurezza che sostituisce la vita.
Quest’anno niente pellegrinaggi, niente tarantelle sul sagrato, niente bicchieri di vino condivisi nei paesi vicini, niente veglie notturne. Un giorno interrotto, sì, ma il peso di quell’assenza pesa come cento anni. Ci diranno: lavori di restauro, agibilità, frane. Io rispondo: inettitudine. Incompetenza. La vera emergenza è la codardia di chi non custodisce ciò che è vivo.
“La montagna non cade per decreto; cadono solo gli uomini che smettono di rispettarla.”
E non confondiamo le cose: i capimafia che scelgono Polsi per i loro summit annuali sfruttano la fede, ma non creano memoria. La memoria è dei pellegrini, dei bambini che dormono per terra, delle madri che hanno affidato lacrime alla Madonna, dei padri che hanno scalato la montagna per sciogliere un voto. È la memoria che resta, quando tutto il resto crolla.
La Calabria conosce bene questa ferita. San Luca ricordato per le faide, Polsi evocata per i congressi criminali. Ma la montagna resta. Il pellegrino tornerà. Perché il tempo della montagna non è quello dei decreti, dei comunicati, delle frane. È il tempo delle radici, della memoria, del cuore.
Polsi non è un edificio da restaurare. È un albero antico, piantato nel cuore dell’Aspromonte. Tagliare le sue radici significa recidere la speranza.
E la speranza, quando muore, non risorge.
“La Calabria può avere mille padroni, ma il cuore dei suoi figli non si lascia commissariare.”
Luigi Palamara Tutti i diritti riservati Reggio Calabria 26 agosto 2025
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@luigi.palamara POLSI. IL GIORNO IN CUI SI RECIDONO LE RADICI La lenta eutanasia di un luogo che è anima e identità di un popolo L’Editoriale di Luigi Palamara Ci sono luoghi che non si raccontano: si vivono. Non basta un libro, non bastano le parole. Bisogna esserci stati almeno una volta nella vita. Polsi è così. Una volta che ci vai, non te lo togli più dal sangue. Ti entra nei polmoni come l’odore della legna bruciata e ti resta tatuato nel cuore. Sul sagrato la tarantella sale come un fiume, le zampogne accompagnano il vociare della gente, e ogni volto, anche sconosciuto, ti sembra di famiglia. I luoghi sono nulla senza l’anima di chi li ha vissuti o attraversati. E Polsi, per chi è nato in Aspromonte, è il cuore. È la vita. Non esiste aspromontano che non abbia onorato, almeno una volta, la Madonna della Montagna. Il motivo non conta: può essere fede, promessa, o semplice tradizione. Ciò che importa è esserci stati e portare quel ricordo dentro per sempre. Perché Lei, la Madonna, è il rifugio a cui affidiamo vita, speranze e dolori. Tra le mani mi ritrovo vecchie fotografie: Roccaforte del Greco, una chiesa grande, cuore di pietra che la montagna stringe in un abbraccio antico. Cinquant’anni di matrimonio dei miei genitori, Angelina e Peppino. Una messa. Gente del posto. Aria buona, che sa di pane e di legna. Era felicità. Quella vera. Quella che nasce dalle radici e non si compra. Oggi penso a Polsi. Il Santuario è chiuso. Decisione delle Autorità: “Inagibile”. Forse è vero. Ma l’inagibilità non è disgrazia piovuta dal cielo. È opera dell’uomo. Polsi non è un edificio. Non è solo fede. È un albero. Le radici sono la storia e l’identità di un popolo. Reciderle significa condannarlo a morte. San Luca, di cui Polsi è simbolo, è ricordato dalle cronache per le faide e dimenticato per la sua gente onesta. La Madonna della Montagna è lì. La montagna non fugge. Il montanaro aspetta il momento giusto per salire. Il pellegrino, se può, va. Se non può, resta nei paesi vicini: beve un bicchiere di vino, mangia pane e formaggio, balla la tarantella, dorme anche per terra. E torna a casa migliore. Questo è il pellegrinaggio. Chiudere Polsi oggi può essere necessario. Lasciarlo chiuso domani sarebbe un crimine. E nei crimini, ricordiamolo, la colpa non è mai della montagna. La colpa è sempre degli uomini che hanno deciso di dimenticarla. E io, se succederà, non avrò bisogno di giudici per sapere chi sono. Luigi Palamara – Tutti i diritti riservati #polsi #sanluca #aspromonte #roccafortedelgreco #luigipalamara ♬ suono originale - Luigi Palamara
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