La Calabria "vuole essere parlata". Ma chi la vuole ascoltare?
Editoriale di Luigi Palamara
Ci sono momenti nella vita di un popolo — e ancor più nella vita di un individuo che da quel popolo nasce e si nutre — in cui il silenzio non è più una forma di prudenza, ma diventa complicità. Parlare, allora, non è solo un diritto. È un dovere. È un atto di resistenza.
Quando si prova a esporre una verità, per quanto personale o radicata nei fatti, le reazioni spesso non sono risposte, ma riflessi: sarcasmo, sorrisetti di sufficienza, accuse di benaltrismo o — peggio ancora — insinuazioni personali. È il tipico riflesso di una società che ha paura di guardarsi allo specchio, e quindi deride chi tende il vetro.
Ma in quei riflessi c’è una rivelazione. Perché ogni reazione svela la natura di chi la mette in atto. Chi finge disinteresse è, in realtà, spesso troppo interessato. Chi ti dice che sbagli, “per il tuo bene”, sta solo proteggendo il proprio piccolo fortino di privilegi. C’è chi attacca frontalmente, e chi lo fa in modo più viscido, da dietro le quinte, nascondendosi dietro un finto affetto, o un consiglio non richiesto. La verità, per molti, è troppo pericolosa per lasciarla circolare libera.
Ma chi scrive lo fa senza chiedere permesso. Non per superbia, ma per amore. E chi ama davvero, non tace.
La Calabria è una delle terre più belle del mondo, e una delle più umiliate. Non per mano del destino, ma per colpa degli uomini. Dei suoi stessi figli, troppo spesso piegati, servili, pronti a vendere la propria dignità per un posto, un favore, o anche solo per la quiete dell’anonimato. C'è chi ha fatto del servilismo uno stile di vita. Chi vive nell’ombra del potere, anche del più miserabile, e non vuole che le cose cambino. Perché il cambiamento lo metterebbe a nudo, lo priverebbe dei suoi appigli, lo costringerebbe a essere, finalmente, ciò che non è mai stato: libero.
Io, invece, libero lo sono. Nato in Aspromonte, forgiato dal silenzio ruvido della montagna e dal sole duro dell’infanzia. Orgoglio e dignità non sono parole da usare nei comizi, ma colonne su cui poggiare ogni giorno. Anche quando scrivo, anche quando vengo attaccato.
E continuo a scrivere. Perché la Calabria vuole essere parlata. E finché qualcuno avrà voce per raccontarla, nessun parassita riuscirà davvero a zittirla.
Chi ama questa terra non la racconta per vantarsene. La racconta per salvarla.
Luigi Palamara Tutti i diritti riservati
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