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La dignità prima del diritto di cronaca

La dignità prima del diritto di cronaca
Editoriale di Luigi Palamara


C’è un limite che non si dovrebbe mai oltrepassare. Un confine netto, sacro, invalicabile. È quello che separa l’informazione dalla violazione, il dovere di raccontare dalla pulsione di esporre. E quel limite si chiama dignità. Soprattutto quando in gioco c’è un minore.

Anche quando la legge, con le sue pieghe e le sue eccezioni, lo consente, resta un principio non scritto che dovrebbe valere più di qualsiasi codice: non si spettacolarizza il dolore di un bambino, non si mette in vetrina la fragilità di un adolescente. Perché i minori non sono protagonisti di una fiction. Non sono carne da audience. Sono vite in crescita. Anime in divenire. E quando il faro si accende troppo forte su di loro, rischia di accecarli per sempre.

Chi lo dimentica, chi forza la mano per un clic in più, chi pubblica un volto o un nome senza pensare alle conseguenze, non è un giornalista. È uno sciacallo. E uno sciacallo non si nasconde dietro la libertà di stampa. Si nutre di cadaveri, e quando non li trova, li crea. L’istinto non è quello di informare, ma di consumare. Di usare. Di fare audience sulla pelle degli innocenti.

Il diritto di cronaca è un pilastro delle democrazie. Ma come tutti i diritti, ha un limite: finisce dove comincia la dignità altrui. E se quella dignità appartiene a un minore, allora il rispetto deve farsi doppio. Anzi, triplo. Perché quel bambino o quella ragazzina, domani, dovranno poter vivere una vita normale. Senza sentirsi marchiati. Senza ritrovarsi addosso gli occhi di chi "li ha visti in tv". Senza che il loro dolore diventi un’etichetta.

Non è moralismo. È umanità. È civiltà. È ciò che distingue il mestiere del giornalista da quello del carnefice mediatico.

Perché la verità, quando è detta senza pietà, non è più verità. È crudeltà.

E chi non capisce questo, non ha nulla da dire. Ha solo da tacere.

Luigi Palamara

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