MANUALE DI COME RICONOSCERE IL VISCIDO. SBATTIGLI LA PORTA IN FACCIA E SE NON BASTA PEDATE NEL CU##!
Editoriale di Luigi Palamara
Il viscido non arriva mai sbattendo la porta. Arriva in punta di piedi, col sorriso untuoso e la giacca stirata, facendo della cortesia un’arma, e del buon senso una maschera. Ti ascolta, ti studia, ti annusa come fa il serpente prima di avvolgere la preda. Ti parla con toni pacati, ti tende la mano, ma il palmo è bagnato di falsità.
E la cosa più inquietante del viscido non è tanto il suo essere tale — perché esisteranno sempre i viscidi, come esistono i topi nei sotterranei delle città. La cosa davvero inquietante è che molti li accolgono. Anzi, li premiano, li invitano a cena, li eleggono. Perché il viscido dice quello che vuoi sentirti dire, non quello che devi sentire. È un prestigiatore morale: manipola le intenzioni, deforma la verità, si infila nelle crepe delle debolezze altrui.
Ma alla fine, il viscido resta ciò che è: viscido. Lo riconosci dai gesti, dallo sguardo che scivola senza fissarsi mai, dal modo in cui ti sfiora la vita senza mai toccarla davvero, se non per prendersi qualcosa. E allora sì: urlagli in faccia, allontanalo. Non con diplomazia, non con eleganza: con chiarezza brutale. E se non capisce — perché spesso fa finta di non capire — un calcio nel didietro non sarà un gesto volgare. Sarà un atto di igiene esistenziale.
Perché non tutto si può tollerare, e non tutti vanno compresi. Alcuni vanno solo messi alla porta.
Con decisione. E senza scuse.
Luigi Palamara
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@luigi.palamara Tu qua non c'entri nulla. Vai via! Il diritto di esserci – e di restare Editoriale di Luigi Palamara Una cosa che mi colpisce più della maleducazione: la presunzione. Presunzione e prepotenza. Quelle due forme di miseria umana che oggi sembrano non solo tollerate, ma perfino rivendicate come virtù. In una società che ha smarrito il senso della misura, dell’educazione, del rispetto, capita che uno qualunque – uno che fino a ieri nemmeno osava guardarti negli occhi – si senta legittimato a dirti: «Tu qui non ci fai nulla. Devi andartene». Come se fosse lui il padrone del mondo. Come se a lui spettasse decidere chi ha diritto di camminare, parlare, stare. L’ho vissuto sulla mia pelle. In un luogo pubblico, dove ogni cittadino ha il diritto – sacrosanto – di esserci, uno di questi piccoli tiranni in miniatura ha tentato di allontanarmi. Con tono fermo, quasi da gendarme, ha pensato bene di imporsi. Senza che nessuno glielo avesse chiesto. Senza avere alcuna autorità se non quella che gli è esplosa in testa per eccesso di ego e mancanza di educazione. Ovviamente non ho ceduto. Non ho mai ceduto. Perché si cede una volta sola – e poi non si smette più. Ho registrato tutto, come si fa con i fenomeni da baraccone: non tanto per prova, ma per memoria. E per dispetto. Perché certe cose vanno ricordate, non dimenticate. Siamo circondati da bulli da due soldi, imbevuti di arroganza, convinti che basti il tono per prevalere. Gente che scambia la cortesia per debolezza, il sorriso per resa, la disponibilità per sottomissione. E allora no, signori. No davvero. È ora di smettere di porgere l’altra guancia a chi non sa nemmeno dove sia la propria faccia. Perché, vedete, la tolleranza ha un limite. E quel limite coincide con la dignità. E la dignità, una volta calpestata, va ripresa. Con la voce, con la fermezza, con il gesto. E se necessario, anche con lo schiaffo morale che certi figuri si meritano. Non si tratta solo di difendere se stessi. Si tratta di difendere un principio. Di dire: “Basta”. Basta con l’invadenza travestita da sicurezza. Basta con la violenza che indossa la maschera dell’ordine. Basta con questi miserabili che giocano a fare i padroni del nulla. A loro serve una lezione. Non di forza, ma di civiltà. Non per umiliarli – ché quelli sono già abbastanza ridicoli da soli – ma per ricordare che la libertà dell’uno finisce dove comincia quella dell’altro. E che chi pensa di essere il centro del mondo, spesso, non è neppure al centro di se stesso. E allora, sì: non stuzzicate il cane che dorme. Perché può anche abbaiare. Ma se serve, morde. Luigi Palamara Tutti I diritti riservati
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