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Regione Calabria. Sanità. Quel potere che non si dimette mai. Occhiuto dimettiti anche da Commissario ad acta della Sanità calabrese.

Regione Calabria. Sanità. Quel potere che non si dimette mai.

Occhiuto dimettiti anche da Commissario ad acta della Sanità calabrese.

Editoriale di Luigi Palamara


C’è una regola non scritta – e forse proprio per questo più sacra delle altre – secondo cui, in politica, non basta sembrare onesti: bisogna esserlo. E anche apparirlo.
Per questo le dimissioni di Roberto Occhiuto da Presidente della Regione Calabria sono, a oggi, una mezza verità, cioè una bugia intera.

Perché se davvero si dimette, allora lo faccia fino in fondo. Lo faccia per intero.
Perché non basta togliersi la giacca da governatore e tenere in tasca le chiavi della sanità calabrese. Non è così che si abbandona un palazzo di potere. È così che ci si nasconde dentro.

La sanità, in Calabria, non è solo un settore amministrativo. È l’asse portante su cui si regge buona parte del potere reale: appalti, nomine, influenza sui territori. È la spina dorsale – marcia o sana che sia – della Regione stessa. E Occhiuto lo sa. E sa che tenerla, oggi, vale più di qualsiasi spot elettorale. Perché nel Sud profondo, chi controlla la sanità, controlla voti. E chi controlla voti, comanda. Anche senza una poltrona ufficiale.

Perché allora non dimettersi anche da Commissario alla Sanità? Perché restare con una mano sulla macchina e l’altra sul microfono della campagna elettorale?
Perché il potere – il vero potere – è quello che non si firma mai l’uscita.

Certo, qualcuno potrebbe dire: “È tutto legale”. Ma la legalità, da sola, è la sorella povera della legittimità. E questa storia, più che legittima, sa di prepotenza. Di furbizia. Di quel cinismo da prima Repubblica che credevamo archiviato e che invece torna sempre, puntuale, in ogni tornata elettorale.

Ecco allora il nodo: non si può essere arbitro e giocatore nella stessa partita, e nemmeno medico e paziente nello stesso sistema. Occhiuto, oggi, è un candidato che ha il potere di curare, nominare, decidere. E questa non è competizione politica. È squilibrio democratico.

Se avesse un briciolo di rispetto per le istituzioni – che non sono il palco da cui si declama, ma la platea da cui si ascolta – dovrebbe dimettersi subito anche da commissario. Per decenza, per etica, e anche per strategia. Perché il potere, quando lo si lascia davvero, torna a profumare di autorevolezza. Ma quando lo si trattiene con le unghie, puzza di paura.

Luigi Palamara Tutti i diritti riservati

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