Il Ponte dei Miracoli (che non si fa mai)

Il Ponte dei Miracoli (che non si fa mai)
L'Editoriale di Luigi Palamara


Esiste un’Italia che costruisce, e un’Italia che incassa. Il Ponte sullo Stretto, a giudicare dai numeri, appartiene fieramente alla seconda. Perché, a ben vedere, l’unica opera compiuta — finora — è la contabilità: un miliardo e mezzo di euro da versare, centinaia di milioni (oltre 360) già spesi per una società che non costruisce ponti, ma produce stipendi, gettoni e comunicati stampa.

Nel frattempo, ci raccontano che la Corte dei Conti è “ostile”. Ostile a cosa, di grazia? Alla fede, forse, più che al cemento. Perché del Ponte sullo Stretto si parla come di una reliquia: non serve crederci, basta venerarlo. Chi osa dubitare viene trattato da eretico del progresso.

Eppure il vero miracolo è che un’opera mai nata sia già costata quanto una piccola guerra. L’Italia è un paese capace di pagare i funerali di un progetto che non ha mai visto la luce, con tanto di corone d’alloro e proclami di “orgoglio nazionale”.

Nel frattempo, il governo assicura che “si andrà avanti con serietà”. Ah, la serietà! Quella virtù che in Italia coincide con la puntualità dei bonifici. E ci dicono anche che “il Ponte porterà sviluppo e occupazione”. Già, ma per ora l’unico lavoro stabile l’ha trovato il signor Ciucci, che da trent’anni pascola sul prato del nulla con una costanza degna di miglior causa.

Questo non è un Ponte, ma una metafora dell’Italia: sospesa a metà tra la promessa e la menzogna, tra il cemento e la chiacchiera. E ogni volta che si nomina lo Stretto, si stringe lo stomaco più che il mare.

Perché in fondo il vero “Ponte sullo Stretto” è quello invisibile che unisce il potere e l’impunità. Un ponte saldo, indistruttibile, fatto di appalti, proroghe e propaganda. E quello, sì, funziona da decenni — senza neppure un cantiere.

Luigi Palamara
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