Alex Tripodi, l’uomo che parla piano in una città che urla. Il politico senza conservanti e coloranti
Alex Tripodi, l’uomo che parla piano in una città che urla. Il politico senza conservanti e coloranti
L'Editoriale di Luigi Palamara
Esiste una razza di politici — sempre più rara come certe specie che sopravvivono solo negli atlanti di biologia — che non si presentano con fanfare, non distribuiscono sorrisi di cartapesta e non parlano come se avessero un ufficio marketing infilato nella gola. Alex Tripodi, 30 anni, appartiene a questa stirpe minuta ma ostinata: quella degli uomini che fanno politica per mestiere dell’anima prima che per carriera.
Politica da quando di anni ne aveva quindici: in un’Italia dove si diventa adulti sempre più tardi, lui ha fatto l’inverso. È invecchiato politicamente prima di altri, e oggi si porta addosso un’esperienza che non si misura nelle candeline ma nel callo che ti lascia l’impegno. Un trentenne col passo di un sessantenne: pacato, essenziale, senza coloranti e senza conservanti. E, soprattutto, senza quella prosopopea da piccolo statista che qui da noi, al Sud come altrove, galoppa di moda.
Chi va cercando punti deboli — perché a Reggio Calabria non si giudicano i fatti, ma le supposizioni, gli umori, le antipatie — farebbe bene ad ascoltare il vecchio e dimenticato consiglio di Rino Gaetano: «Nessuno giudichi un film senza prima vederlo». Ma in politica il pregiudizio è sempre più veloce del giudizio; e a Reggio Calabria, città che oscilla tra rassegnazione antica e rinascite annunciate, ogni nuovo innesto nella giunta è accolto come una scommessa.
Tripodi è una scommessa? Forse. Ma lo è in quella forma che piacerà ai pragmatici: una scommessa da giocare controllando prima le statistiche e non solo la fortuna. L’ingresso nella nuova Giunta Falcomatà arriva tardi, con un tempo residuo che più che un calendario sembra un cronometro: pochi mesi per lasciare tracce, righe, cicatrici amministrative. Eppure spesso sono proprio gli ultimi metri della corsa che rivelano i corridori veri. Prendiamo nota, quindi, come si farebbe con chi entra in scena non per gesticolare, ma per lavorare.
Il suo messaggio — quello che potete leggere nello screenshot — non ha il tono del conquistatore, né la baldanza del miracolista. È piuttosto la dichiarazione di uno che sa che la politica è servizio, non autografo. Il riferimento al dialogo con cittadini, imprese, giovani, lavoratori, associazioni… sembra scontato, ma è tutto fuorché banale in una città dove il dialogo spesso è una parola pronunciata senza aprire realmente la porta.
È nelle promesse che si vede la stoffa dell’uomo: quelle gonfie e roboanti appartengono ai venditori di fumo. Quelle misurate, quasi timide, appartengono a chi sa cosa costa mantenerle. Nella Reggio delle urla, chi parla piano è da ascoltare due volte.
Tripodi non promette rivoluzioni, né riforme epocali: promette presenza. Che, a ben vedere, è la sola moneta che la politica onesta può davvero spendere.
C’è chi lo valuterà sulla base delle appartenenze, chi delle simpatie, chi degli schieramenti. Ma il tempo — breve o lungo che sia — resta il miglior giudice. Per ora, resta l’impressione di un uomo che non ha bisogno di recitare, perché il suo copione sembra averlo scritto vivendo, non improvvisando.
E questo, in una città come la nostra Reggio Calabria, vale già mezza rivoluzione.
Luigi Palamara
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Reggio Calabria 15 novembre 2025
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